Mercoledì 9 ottobre 1963, ore 22.39:
la tragedia del Vajont.
E' nel dicembre del 2009 che il
direttore dell’Archivio di Stato di Belluno, Eurigio Tonetti,
mostra le carte processuali del Vajont. I segreti del più grande
dramma dal dopoguerra ad oggi, sono finalmente pubblici. Il
silenzio, che per decenni è calato sul disastro, lascia ora il
posto alle parole, forse anche alla verità, nel Belpaese dei “muri
di gomma”, Tonetti espone alcuni documenti processuali, è un
fiume in piena: uno dei quaderni con gli appunti redatti da Carlo
Semenza, l'ingegnere della diga, poi i tabulati telefonici con
l’elenco delle chiamate verso Venezia fino a pochi minuti
prima del disastro, la copia della sentenza di assoluzione del
1960 emessa dal Tribunale di Milano nei confronti di Tina
Merlin, la giornalista che per i suoi articoli di denuncia,
pubblicati su «L’Unità» già dal 1959, era stata processata per
«diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine
pubblico».
Adesso si scatenano i dietrologi,
adesso i “cronisti sul campo” alla Toni Capuozzo ci racconteranno
la loro, di informazione. Chissà se sarà informazione o formule di
stantìo politically-correct.
VAJONT e AUTORITA' COSTITUITA
Autorità:
Con il termine autorità (dal latino auctoritas, da augeo,
accrescere) si intende quell'insieme di qualità proprie di una
istituzione o di una singola persona alle quali gli individui si
assoggettano in modo volontario per realizzare determinati scopi
comuni.Locke, nei Due trattati sul governo (1690) giunse a concludere che il fondamento dell'autorità debba essere cercato nella libertà e nell'uguaglianza di tutti gli individui. Contro ogni forma di assolutismo fu anche Jean-Jacques Rousseau che, nella sua opera Contratto sociale, (1762), teorizzava un concetto di autorità come emanazione della volontà popolare.
Spesso è usato come sinonimo di potere, ma in realtà i due termini afferiscono ad accezioni diverse. Il "potere" si riferisce all'abilità nel raggiungere determinati scopi mentre il concetto di "autorità" comprende la legittimazione, la giustificazione ed il diritto di esercitare quel potere.
Gli studi più recenti sul concetto di
autorità, condotti nel 1936 da Max Horkheimer, Herbert Marcuse e
Erich Fromm (in Studi sull'autorità e la famiglia) e da Theodor
Adorno con l'opera La personalità autoritaria (1950), vertono sulla
denuncia della degenerazione dell'autorità in autoritarismo.
Chi erano i soggetti che avevano l'autorità per coprire
quello che successe nel Vajont nel 1963, la sera della partita di calcio Real Madrid-Glasgow?
Chi sono le Autorità che hanno
nascosto la verità, tradendo quel giuramento di fedeltà fatto al
Popolo italiano, di proteggerlo, servirlo, di garantire l'ordine
pubblico? Di congegnare le leggi, di garantirne il rispetto, il rispetto della della vita, di garantire la punizione di chi causa tragedie...?
Sono le stesse Autorità senza
autorevolezza che hanno nascosto – anzi, che stanno tuttora
nascondendo – la verità sul caso Mattei, sulla morte di Aldo Moro,
sulle stragi di Ustica, di Piazza Fontana, di Bologna (si, non
crediamo più a nessuna delle menzogne della stampa serva del regime
delle farse e degli avvoltoi), quelle stesse Autorità che dovrebbero
render conto a noi, loro pari – e non loro servi, semmai loro servi
dello Stato, che siamo noi cittadini – del continuo stillicidio di
denari mal spesi per le loro orge di guerra su mille fronti di
fasulle missioni umanitarie. L'Italia dei misteri e dei segreti, l'Italia più meschina e serva degli interessi di "cosca".
Avevo quasi otto anni al momento della
tragedia della “diga del Vajont”, ne ho quasi cinquantotto adesso
e scopro un'altra canagliata coperta dallo Stato, quello Stato in cui
non mi riconosco, rappresentato da individui spregevoli e meschini.
Autorità come Autorevolezza, era questo che ricordavo, quella di mio
padre, di mio nonno, Uomini, non questi malfattori rimpiattati dietro le scrivanie e peggio ancora mimetizzati dentro a divise, circondati
di bandiere di nuovo conio, come in un gioco di adolescenti troppo
cresciuti che si baloccano di vezzi e stendardi, questi farabutti non
sono l'Autorevolezza e nemmeno l'Autorità, essi sono la VERGOGNA di
questa povera nazione.
Ci raccontano - gli anziani di lassù - che durante l'esecuzione di perforazioni in profondità già a 150 metri o poco più le trivelle si inceppavano: la montagna "si muoveva" continuamente, in uno slittamento costante.
«Facciamolo il 9 ottobre, verso le
9-10 di sera, saranno tutti davanti alla tivù e non ci
disturberanno, non se ne accorgeranno nemmeno. Avvisare la
popolazione? Per carità. Non creiamo allarmismi. Abbiamo fatto le
prove a Nove, le onde saranno alte al massimo 30 metri, non accadrà
niente e comunque per quei quattro montanari in giro per i boschi non
è il caso di preoccuparsi troppo».
La sconvolgente conversazione tra
dirigenti della Sade, sarebbe avvenuta, più o meno con queste
parole, nell'ufficio di Longarone dell'allora notaio Isidoro
Chiarelli. Dovevano firmare un atto relativo all’acquisto di un
terreno. Poi un avvertimento: «Lei ha un segreto professionale da
rispettare - aggiunsero -, altrimenti se ne pentirà».
E' roba da far venire i brividi, altro che gli sgozzamenti di NCIS all'ora di cena a cui pian piano vogliono assuefarci!
A mezzo secolo dall'onda maledetta, che
non fu alta trenta metri bensì 300, Francesca, figlia minore del
notaio, scomparso nel 2004, mette sul piatto una verità che,
all'epoca, aggiunge la sorella Silvia, docente universitaria a
Padova, «costò alla famiglia l'isolamento dalla Belluno che conta.
Ma nostro padre, anche se per quasi due anni non lavorò più,
schivato da tutti, non smise mai di farsi testimone di quelle parole.
Per questo ebbe molti problemi, pressioni e minacce. Il suo grande
cruccio fu quello di non essere mai creduto, nemmeno nella sua veste
"certificante" di notaio».
"Dopo 50 anni ancora
circola la spiegazione ufficiale e solo quella, quella che abilmente
è stata messa in giro fin da subito e anche poi, spostando apposta
il processo a L’Aquila, ovvero ben lontano rispetto a Belluno,
pensando ai mezzi di trasporto e di comunicazione di allora. Mio
padre c'era a quel processo, ha testimoniato, rischiando per sé e
per la sua famiglia dopo le minacce dei responsabili. Non ne parlava
volentieri, anzi non ne parlava quasi mai, e io ero piccola, troppo
piccola e troppo isolata per sapere, non saprò mai a quali
ritorsioni ha dovuto reagire, li posso solo intuire, era uno che i
problemi di lavoro li lasciava lì, non li portava in famiglia. Ci
voleva proteggere. Per quanto ne so, gli atti del processo non sono
mai stati resi pubblici. Lo sono solo da questo mese circa e non
vedo l’ora di consultarli, se potrò. I tempi sono maturi per
leggerli: molti superstiti sono morti a loro volta, la maggioranza
della gente in zona è gente come me, che ne parla ma non ha
realmente vissuto sulla propria pelle quell'orrore, quindi sarà
molto più facile affrontare quanto ci potrà essere scritto. E anche
per me il tempo è maturo per scriverne."
«La sera del disastro programmato -
prosegue - mio padre ci fece stare pronti. Eravamo vestiti di tutto
punto, pronti a scappare». E l'onda scese. Con soli 39 minuti di
ritardo rispetto all'ora indicata dai dirigenti Sade: erano infatti
le 22.39.
La prevalenza della popolazione era
chiusa in casa a guardare la partita e questo, secondo la Sade,
sarebbe stata una garanzia di tranquillità per eseguire la manovra
di far scendere quella maledetta frana che pesava come un macigno sul
valore dell'opera, destinata ad essere venduta all'Enel. I modelli di
studio effettuati a Nove indicavano infatti che l'onda sarebbe stata
alta una trentina di metri. Che mai avrebbe potuto fare uno spruzzo
simile? Ma perché raccontare tutto questo solo ora?
«Mio padre ci provò in tutti i modi -
prosegue Francesca -, ma non ebbe ascolto. Parlarne oggi, in cui
l'attenzione mediatica è forte, per l'imminente cinquantesimo, non
può che rendere onore al coraggio di nostro padre. E poi basta
parlare di disgrazia: nostro padre lo chiamava eccidio».
Nel dopo-Vajont, quando l'allora
presidente del Consiglio Giovanni Leone, divenuto poi
l'avvocato della Sade-Enel, scovò il codicillo della legge
sulla "commorienza" (i casi di morte contemporanea dei
genitori e uno dei figli) che permise di non risarcire i parenti di
circa 600 morti. Giovanni leone diverrà poi Presidente della
Repubblica, un bell'esempio per il mondo, ladro e corrotto, anche lui
come i suoi tanti compari di merende un bell'esempio di Autorità
Costituita e di Servitore dello Stato.
A livello di attendibilità, la versione di Francesca Chiarelli trova importanti conferme. La figlia del notaio, infatti, aveva raccontato come la frana che causò il disastro Vajont fosse stata in realtà pilotata. Ed esistesse un piano per farla cadere in un preciso momento: la sera del 9 ottobre 1963, mentre tutti erano al bar o davanti alla tivù a vedere la partita. Ebbene, i forti dubbi da sempre messi in giro sulla credibilità della sconvolgente tesi sono stati indeboliti dal mondo dei geologi. E in particolare, dal presidente della Fondazione Centro studi del Cng (Consiglio nazionale geologi), Vittorio D’Oriano:
«Non mi meraviglierei se quanto raccontato dalla figlia del notaio Isidoro Chiarelli fosse vero. E lo dico da studioso di scienze geologiche. Per quale motivo? Per il semplice fatto che ho approfondito gli atti e i documenti relativi a questa vicenda, perché frequento Longarone e i luoghi del disastro fin da quando ero studente e soprattutto perché troppa gente, a quel tempo, ha chiuso gli occhi di fronte a certe evidenze».
Secondo D’Oriano, una frana può essere pilotata: «Sì, accelerare il movimento franoso è possibile. Se decido di minare il versante e poi farlo saltare, posso stabilire giorno e ora».
I cronisti leggi-notizie dei vari TG troveranno anche in questo le ombre dei complotti? Fanno bene a tenersi stretto il loro stipendio da servitori della propaganda, in una società realmente civile non sarebbero degni neanche di stringere una vanga in mano.
(Notizie da Alex Blog, Gazzettino,www.fchiarelli.it ed altri)
RispondiEliminaAnche oggi ho dovuto ingollare la mia dose di merda....e di
questo ti ringrazio di cuore, perchè sei uno dei pochi in questo marcio paese
che ha il coraggio di dire certe cose.
Avevo 12 anni all'epoca del Vajont, frequentavo la quarta ginnasio al Parini
di Milano...la scuola della borghesia bene della città, (infatti ne venni
cacciato subito: 4 e 4 in latino e greco, esami a ottobre ...uscii con tre e
tre)
Avevo un compagno di classe in odore di comunismo, tale Adriano Bearzot...il
nome lo identifica come bellunese...mentre dalle colonne del corriere
Montanelli gridava la famosa invettiva "Sciacalli!" lui mi portava gli articoli
dell Tina Merlin sull'Unità ....
l'altro ricordo è aver trovato nell'auto di mio padre, (un bell'elemento che
dopo essere partito volontario in Africa nel '37 falsificando il certificato di
nascita per avere i 18 anni necessari,(era del '20) finì nel '43 nelle Brigate
Garibaldi) una copia di "Pensaci, Uomo!" di Caleffi e Steiner, immagino che lo
conosca anche tu...
ecco come mi sono rovinato l'adolescenza, amico mio...
L'adolescenza non ce la siamo rovinata, credo che i sogni, le attese, gli entusiasmi (per me quelli della fine anni '70) e le rabbie ci abbiano formati, dandoci una capacità critica che a molti giovani oggi purtroppo è stata negata. Spero non appaia un discorso da vecchi del genere "ai miei tempi,,,".
RispondiEliminaIo dopo quella fase, quella dell'università, frequentai Architettura a Firenze nei momenti più fecondi, ho poi veduto consolidarsi i baroni locali, trasformarsi in ulteriori potentati tante energie altrimenti propositive e davvero "rivoluzionarie" ed alternative. Personalmente me ne astrassi, iniziando allora il mio peregrinare per deserti, universo di cui sai qualcosa, e altre periferie... è viaggiando che ho potuto capire (forse) qualcosa in più di tanti altri (scusami per la presunzione, ma lo penso davvero, e mi rifaccio volentieri alla frase di Omar Khayyam "viaggiare è come vivere, chi viaggia vive due volte"). Come molti che si riconoscono nella mia esperienza generazionale ho - per così dire - staccata la spina da un impegno per guardar la vita altrove, spesso in luoghi in cui la contaminazione dell'ipocrisia fosse meno "sostanziale" ai rapporti sociali.
Com'è o come non è negli anni '90 il "sacro fuoco" mi si riaccese dentro e reiniziai un altro percorso, nella necessità (tutta mia personale) di contribuire anche a piccola scala - a livello locale con una lista civica in un comune della provincia toscana - a portare qualcosa di diverso su cui discutere. Il "contributo" della "società civile". E pensa un pò la mia lista civica prese i voti della gente, e ci facemmo due legislature, nel regno degli schieramenti consolidati la lista civica - penso una delle prime a profittare della legge sulla elezione diretta del sindaco - in sei ore si prese le duecento firme necessarie all'accesso alla tornata elettorale, come vedi la mia "agitazione" non è cosa dell'ultim'ora. Se emotività la detta è una emotività antica e positiva, perché non basta indignarsi - indignarsi, se non fai qualcosa, è ridicolo e frustrante - bisogna farsi avanti. Ed io più di una volta l'ho fatto. E lo rifarei, forse meglio e forse più tempestivamente, mi riferisco all'agosto 2011.