E' per questo che "perdo tempo" a concepire e scrivere questi messaggi, è per un sano egoismo, è per un doppio fine, che non è un qualsivoglia business né una velleità missionaria, è perché lo star bene al Mondo è un concetto semplice che sta in piedi se è condiviso a tutte le latitudini. Le teorie dell'instabilità permanente le lascio ai pervertiti paranoici.
11 Febbraio 2013
LETTERA APERTA
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA ED AL MINISTRO DEGLI
ESTERI
APPELLO
PER LA CESSAZIONE DELLE OSTILITA' IN MALI
RICHIESTA
DI RICONOSCIMENTO INTERNAZIONALE DELLO STATO INDIPENDENTE DELL'AZAWAD
Signor
Presidente,
Signor
Ministro,
dopo quasi un anno durante il quale nei territori della Repubblica
del Mali non sono praticamente mai cessati sanguinosi conflitti
interni per la più gran parte cagionati da una ultracinquantennale
rivendicazione di indipendenza da parte delle etnìe che si
riconoscono nel concetto politico-geografico di Popolo dell'Azawad, i
cittadini italiani assistono all'evolversi dell'intervento militare
iniziato il giorno 11 gennaio 2013 dalla Francia ed appoggiato –
con consiglieri e logistica – anche dal Governo italiano, a prender
atto delle dichiarazioni rilasciate in data 18 gennaio 2013 dal
Ministro per la Coperazione Internazionale Riccardi, seppur
successivamente oggetto di un revirement da parte
dell'esecutivo, comunicato il 28 gennaio dal Premier Monti.
Per tale intervento lo scopo dichiarato era quello di combattere il
“terrorismo islamista”, ad impedire agli schieramenti ad
esso riconducibili di avanzare verso il sud di quel paese,
minacciandone la capitale, Bamako, e di combattere nella circostanza
i gruppi armati di stile mafioso legati notoriamente a traffici di
ogni “genere” di mercanzia, dalla droga agli esseri umani.
Fin troppo ovvio dire che la regione sahelo-sahariana è una
dimensione caratterizzata da contatti allargati ed aperti in cui la
circoscrizione entro confini artificiosi ha costretto alla convivenza
forzata culture (civiltà) tra esse stesse letteralmente collidenti,
come i pastori transumanti del nord e gli agricoltori sedentari del
sud, mentre su un teatro più globale questi territori (il Mali è
forse il terzo produttore africano di oro oltre che custode di una
messe sterminata di altre risorse minerarie) costituiscono riserva di
caccia delle multinazionali più spregiudicate.
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Questo per ricordarVi che tali problemi, di interessi, interferenze
e sovranità relative sono per l'appunto – nella regione
sahariana - ben più datati degli accadimenti degli ultimi
mesi, accadimenti che agli occhi dell'opinione pubblica mondiale
hanno finalmente evidenziate le rivendicazioni degli abitanti
della cosidetta regione de l'Azawad, rivendicazioni
identitarie assai sentite e storiche, risalenti con certezza
documentata ben prima dell'indipendenza, dai primi anni '50 almeno al
1958 allorché i capi Tuareg riuniti a Kidal nell'associazione allora
conosciuta come MPA (Movimento Popolare dell'Azawad) chiedevano
reiteratamente alla Francia di Coty prima, e di De Gaulle poi, di
aver risparmiata l'annessione a Stati che matematicamente
sarebbero stati governati da etnìe storicamente antagoniste alla
loro, minoritaria, con possibili ritorsioni. Disattese le richieste e
denunciate le prime vessazioni, è al 1962, a Kidal, che data la
prima ribellione (di rilevanza storica saranno quattro,
compresa quella attuale), con le prime rivendicazioni di indipendenza
dallo stato del Mali, i cui confini – nella miglior tradizione del
colonialismo in uscita – vennero decisi a tavolino,
tracciati con un righello, senza tener conto, al solito, delle realtà
etnico-culturali di quei popoli e delle loro singole particolarità
(in quello che spesso oggi nel gergo purtroppo meramente demagogico
vengon definiti “valori”), sovrapponendo alla per di più poco
approfondita storia di quelle regioni una cartografia che non è
quella determinata dai retaggi di razze e tribù, delle lingue e
delle culture, ma quella voluta dal nuovo colonialismo, determinata
solamente purtroppo dalle risultanze di prospezioni geologiche e
dalle strategie di una politica globale che calpesta quei diritti
umani ipocritamente sventolati davanti agli occhi di una opinione
pubblica distratta e preoccupata essenzialmente del proprio immediato
futuro.
Su questo tema, nel 1943, l'ambasciatore britannico presso la Santa
sede Sir Geoge Francis D'Arcy Osborne che così si espresse “...i
principi e le regole della democrazia sono estranei alla natura del
popolo italiano, che non si interessa di politica...La gran massa
degli italiani è individualista e politicamente irresponsabile e si
preoccupa soltanto dei suoi problemi economici più urgenti...”.
E' una riflessione raggelante nella sua attualità, oggi che la
nostra collettività si trova ad affrontare – disorientata e di
fatto orfana di indirizzi credibili – la più grave crisi sistemica
e di valori mai prima configuratasi nella storia recente. Una crisi
nostra che non deve però portarci all'ulteriore impoverimento
di un egoistico rannicchiarci nel disinteresse degli eventi del mondo
che ci circonda e nello specifico di quella parte di umanità di cui
ci ricordiamo a corrente alternata, di paesi differenti dal
nostro, di cui percepiamo l'esistenza solo in misura di una qualche
risorsa che ce ne può derivare e dei quali – nella migliore delle
ipotesi – non conosciamo nè civiltà nè tradizioni, relegandoli
ad una dimensione anacronistica di comprimari della storia, di quella
storia di cui noi siamo o, meglio, crediamo di essere gli attori
protagonisti.
Dobbiamo essere capaci di superare il conformismo che sottende ogni
nostro giudizio ed ogni nostra valutazione in merito alle culture e
“civiltà” che hanno svolto un proprio personale percorso. Perché
non si tratta di diversi “gradi” o “livelli” di civiltà
nelle diversità, bensì di civiltà “altre”, non inferiori
perché non analoghe o peggio ancora perchè non omologatesi alla
nostra. Non si tratta di civiltà e culture aliene o “inferiori”
solo perché si riconoscono in modelli istituzionali con dinamiche e
gerarchie diverse dai nostri democratici modelli istituzionali. Che
non sono – questi ultimi – migliori, o più moderni ed efficaci
solo perché siamo noi a propugnarli.
Dobbiamo comprendere che – forse – abbiamo da riconoscere
dignità anche a chi, a latitudini diverse dalle nostre, ha optato
per una velocità differente anche nell'approccio ad un progresso che
il più delle volte si è concretizzato in una mera modernizzazione
tecnologica prima che in una
crescita di coscienza, dobbiamo riconoscere dignità a chi rivendica
– e più avanti lo vedremo esplicitato – il diritto a percorrere
la propria via per una
condivisione realmente diffusa delle responsabilità di governo.
In effetti, Signor Presidente e Signor Ministro, l'offensiva
lanciata il 17 gennaio 2012 dall'etnia Targui contro le forze armate
maliane a Menaka e nella regione di Kidal non parrebbe da ascrivere
tanto ad un rigurgito di un conflitto endemico, latente e
risvegliatosi – a cascata - dopo la recente Guerra di Libia.
Come pure è da correggere –
perché sicura fonte di fraintendimenti e speculazioni – il
convincimento che alcuni possono nutrire che il MNLA, Movimento
Nazionale per la Liberazione dell'Azawad sia espressione della sola
etnìa Targui. Infatti, come Azawad è sinteticamente accezione
utilizzata per indicare l'intero grande Nord del Mali (la regione
dell'Azawad –
sinteticamente conca,
vallata, in lingua
tamaschek, semplificando
al massimo il linguaggio figurato dei berberi - geograficamente
rappresenterebbe infatti il solo bacino afferente al grande fiume
fossile omonimo, questa specifica denominazione “politica” risale
agli anni '40 e '50 allorché ne veniva richiesta – al pari di
altre regioni africane già colonie francesi - l'indipendenza),
parimenti il Movimento di Liberazione è una entità espressiva delle
molteplici etnìe che si riconoscono sotto comuni princìpi di
cultura e consuetudini, maturate e metabolizzate in secoli di
coondivisione e di saldatura di rapporti tra le comunità
maggioritarie della regione: Targui, Songhaï, Maura, Peul, Araba.
Si tratterebbe quindi, al contrario, di un nuovo tema, assai
allargato, e di nuove e ancor più consapevoli rivendicazioni di
quelle che venivano mosse in passato.
Distaccandosi dalle primitive
istanze dei movimenti precedenti, indirizzati ad una integrazione
(accettazione) maggiore dei Tuareg all'interno della società maliana
e ad una implementazione degli sforzi da parte del governo centrale
nella lotta alla povertà (che si erano nei fatti sostanziati, sotto
la presidenza di Modibo Keita prima e di Moussa Traoré poi, nella
militarizzazione del nord del paese seguita da innumerevoli episodi
di cruda repressione ed in uno sfruttamento intensivo di risorse
naturali senza miglioramenti nelle condizioni di vita della regione),
i movimentisti odierni non trattano genericamente di sviluppo
(comunque non del modello di quello sviluppo che il miraggio-Europa
ha dimostrato essere una mela avvelenata), non trattano di sofismi di
importazione di modelli di “altrui” democrazia che poco hanno a
che fare con la concreta e “propria” civiltà
degli apparentamenti clanici e tribali (che non significano tam-tam
e anelli al naso) che sicuramente meritano rispetto e riconoscimento
di legittima, paritetica dignità, essi oggi rivendicano nientemeno
che l'autodeterminazione e l'indipendenza, non parlando semplicemente
di ribellione ma definendosi movimento rivoluzionario
avente come obiettivo quello di liberare il popolo dell'Azawad da
quella che essi definiscono l'occupazione maliana.
Questo appello non ha l'intento di sposare acriticamente una
posizione politica rivoluzionaria opposta ad un governo che ha da
tempo ottenuto il riconoscimento internazionale ed ha lavorato per
dotarsi di una struttura rappresentativa delle varie componenti di un
paese nato – suo malgrado – sulle ceneri di una diversa pregressa
configurazione di quello che fu il Sudan francese, piuttosto si pone
l'obiettivo di dare riconoscibilità e dignità ad un significativo
movimento popolare, da tempo espressione e concreta identificazione
di una realtà storica e socio-politica regionale, su base
multietnica.
Su una popolazione della regione
approssimativamente quantificabile in 3 milioni di individui almeno
il 60% è rappresentato da Mauri e Tuareg dei quali buona parte ha
dovuto lasciare il paese a causa delle vessazionipolitiche mentre
un'altra grande parte della popolazione ha dovuto spostarsi nei paesi
vicini a causa delle grandi siccità degli anni '70 – prima – ed
a causa del sottosviluppo, poi. E questo nonostante il sottosuolo sia
ricco delle più significative risorse minerarie ed energetiche, come
pure di falde acquifere tra le più significative del Sahara.
Apparentemente la questione maliana
è questione interna a quella nazione, le recrudescenze dei primi
mesi del 2012 a livello internazionale non paiono smuovere più di
tanto gli interessi ed apprensioni ma mentre le intenzioni palesate
dall'MNLA paiono del tutto verosimili, plausibili e legittime le
aspirazioni enunciate dai portavoce accreditati che comunque vivono
gli eventi come un fatto nazionale, nel corso degli scontri del marzo
2012 con l'esercito regolare maliano, l'aviazione statunitense, in
palese violazione di qualsiasi regola di diritto internazionale
effettua numerosi rifornimenti di vettovagliamenti ed armi in aiuto
delle guarnigioni nei pressi di Tessalit, con un interventismo che
rimarca una scelta di campo che non può che lasciar sconcertati,
appena un anno dopo il più che vigoroso
intervento NATO in Libia a supporto di una ribellione cui oramai
quasi unanimemente i commentatori che hanno familiarità con questi
temi attribuiscono una genesi assai “curiosa”.
L'ingerenza esterna stavolta mirata al mantenimento dello status quo
viene rimarcata da una organizzazione berbera
con lettera di protesta all'Ambasciata USA di Parigi il 9 marzo 2012.
Successivamente all'entrata in
scena delle più stravaganti configurazioni delle milizie qaediste
da sempre (2006), già nella loro originaria – se originale –
veste di GSPC algerino, avversarie dell'MNLA, la situazione maliana
si complica e siamo alla storia dei mesi appena trascorsi, con
l'intervento diretto della Francia dichiaratamente
finalizzato a combattere il “terrorismo islamista e la criminalità
di tipo mafioso dedita ai traffici di droga”
La successiva evoluzione e
l'allargamento delle azioni militari intraprese dal corpo di
spedizione francese (e conseguentemente delle forze italiane in
qualunque ruolo coinvolte) al quadrante geografico del Nord del paese
allo scopo di “...riconquistare l'integrità territoriale
del Mali...” parrebbe
configurarsi – anche nella valutazione di innumerevoli
organizzazioni Targui europee – oltreché obiettivo illegittimo
sotto il profilo del diritto internazionale (ingerenza) anche come
vera e propria azione ostile contro il Movimento Nazionale di
Liberazione dell'Azawad che nel frattempo aveva dichiarato seppur
unilateralmente l'indipendenza da Bamako.
L'intervento “europeo” più che
il declamato obiettivo della lotta al terrorismo internazionale (che
peraltro non fa mistero di generose sovvenzioni e legami sia con
servizi segreti di paesi cardine
del maghreb che con paesi alleati delle varie Coalizioni occidentali)
parrebbe mirato al fine assai più prosaico e assai meno nobile di
garantire alla Francia e ai suoi sodali il controllo delle risorse
della regione dell'Azawad.
Per restare però nell'ambito della politica e della legalità, ed
in considerazione anche delle implicazioni di possibili instabilità
internazionali in oggetto ai paesi frontalieri del Mali e dell'Azawad
(Niger, Algeria, Libia) ove analoghe comunità delle stesse etnìe
che si riconoscono nell'MNLA sono sensibili a quelle che saranno le
conseguenze della crisi in corso,
preso atto delle dichiarazioni di intenti che il MNLA ha reso al
momento della propria dichiarazione di indipendenza avvenuta il 6
Aprile 2012 ovvero, in estrema sintesi:
-Non esser più costretti ad impegnarsi in interminabili conflitti
-Assicurare un futuro certo al nostro popolo ed al nostro territorio
-Non dover subire persecuzioni, sostituire a una violenza cieca e
gratuita una autorità legittima, giusta e che si occupi del bene del
nostro popolo
-Far sì che il nostro popolo non debba più sottostare alle
umiliazioni ed ai soprusi dei campi per rifugiati
-Non dover sottoscrivere accordi con regimi privi di credibilità
-Poter assicurare da noi stessi la sicurezza delle cose e di tutte le
persone nell'Azawad
-Garantire ad ognuna delle comunità che formano il Popolo
dell'Azawad il fiorire della propria cultura, del proprio sviluppo
socioeconomico, politico...in conformità ai principi per i diritti
umaniriconosciuti dai vari strumenti giuridici internazionali, ed in
particolare la Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Autoctoni
-Dar forma ad un contratto sociale in linea con le legittime
aspirazioni del Popolo dell'Azawad
pur ribadendo di non voler aderire
acriticamente ad uno specifico progetto politico e senza voler in
alcun modo costituirsi una ingerenza nei fatti interni di un paese
terzo, ma riconoscendo
a questi “elementari” principi ed obiettivi la dignità che essi
rivestono, e riconoscendo in essi le stigmate di quella “civiltà”
che la nostra stessa carta Costituzionale propugna e difende,
prendendo spunto da innumerevoli iniziative della Repubblica Italiana
– negli anni - in merito al riconoscimento dei diritti dei popoli
oppressi e di innumerevoli movimenti di liberazione nazionali o in
difesa di particolarità etniche, percependo nell'impegno
dell'intervento italiano nella regione una considerevole sensibilità
al problema ed una altrettanto rilevante assunzione di responsabilità
che non può essere – proprio per le nostre tradizioni democratiche
e richiamantisi all'art. 11 della Costituzione Repubblicana
(...l'Italia ripudia la Guerra come strumento di offesa
alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali …)
- espressa unicamente con un intervento militare ma che debba invece
svilupparsi sul più alto piano della Politica,
creandosi I presupposti per una piattaforma di dialogo realmente
paritetica in cui non siano più attori da un lato i legittimi
rappresentanti di uno Stato e dall'altro semplici “ribelli” ma,
in questo caso, i delegati del Popolo dell'Azawad.
Con questa mia, anche in riferimento ai molti dibattiti avvenuti sul
tema in sede parlamentare europea fino dall'Aprile 2012, chiedendoVi
un segno forte di responsabilità ed attenzione verso le
problematiche identitarie di un popolo che nonostante una vera e
propria – ultracinquantennale - diaspora ha saputo e voluto
proporre un vero e proprio progetto politico sulla propria terra di
elezione,
PONGO
alla Vostra attenzione la questione
del riconoscimento
del Consiglio Transitorio dello Stato de l'Azawad, così come
rappresentato dalla unilaterale dichiarazione prodotta il 6 aprile
2012 dal Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad, chiedendoVi
di ratificarlo nel nome del Popolo Italiano, nell'ulteriore
convincimento che ciò possa costituire un serio contributo alla
cessazione delle ostilità all'interno di quel paese tormentato e
nelle regioni circostanti nonchè un concreto punto di partenza per
una riflessione allargata sul tema della cittadinanza
delle popolazioni della regione sahelo-sahariana, unico
percorso atto a promuovere una matura e condivisa consapevolezza di
quei popoli nella reale indipendenza da interessi stranieri di stampo
neo coloniale, consapevolezza ed indipendenza che possano condurre ad
una vasta Confederazione di stati liberi come da tempo auspicata da
innumerevoli intellettuali e politici africani.
Con perfetta osservanza
Emilio BORELLI
quanto conta la presenza cinese sul territorio?
RispondiEliminache i francesi stiano facendo casino per riprendere il controllo "economico" su quei territori? aiutati dagli usa e dal progetto Africom messo appuntino dagl'americani?
chi ne fa le spese certo sono i poveri africani
sappiamo tutti cosa hanno fatto i cinesi in Niger e forse si prestano a fare in Mali...
ciao Marco
Fammi poi sapere cosa ti rispondono...
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