AFRICA
E GHEDDAFI:
LA
PERDITA DI UNO STATISTA
E
così sono passati sei anni da quel drammatico 20 ottobre 2011,
pomeriggio, ero in fila in auto sui viali di Firenze, avevo
appuntamento con Giovanni Gozzini, storico della comunicazione con il
quale stavo condividendo il progetto del mio saggio che da lì a poco
gli avrei consegnato per la supervisione e la prefazione, per
vedermelo ritornare “approvato” circa un mese dopo, ai primi di
dicembre, con il commento entusiastico di Giovanni “...abbiamo
un grande libro, dobbiamo pubblicarlo!” stava nascendo “Libia
il naufragio dell'Europa”.
Mentre
guidavo mi chiama un amico al telefono portatile, “Hai saputo?
- mi dice – hanno ammazzato Gheddafi” come? “A Sirte,
una incursione aerea su una colonna di veicoli”, era terminata
la strenua difesa del khwan rās,
il “fratello leader” nella sua regione natale, era
terminata la meravigliosa, utopistica avventura della Jamahiriya
Libica Araba.
Si
era appena spento, soffocato da mercenari e traditori, il respiro
dell'unico vero grande Statista Africano contemporaneo, Mohammar al
Ghaddafi, l'uomo che con parole semplici - le parole destinate al
popolo della Nazione Africana – aveva saputo spiegare una delle più
sconvolgenti rivelazioni della contemporaneità: la democrazia
parlamentare è una distopia. O, meglio ancora, si tratta
semplicemente di un inganno, di una contraddizione in termini,
laddove si pretenda che una percentuale relativa di uno scenario
politico possa operare nell'interesse delle forze politiche ad essa
avverse, una ipocrisia istituzionalizzata.
“...dobbiamo
pubblicarlo!” cominciarono allora le telefonate, le
presentazioni a questa e quella casa editrice, le più blasonate –
anche – per gli aspetti di ricerca storica contemporanea, le più
“vocate” alla questione mediterranea, purtroppo nessuna di queste
avrebbe trovato nei propri corridoi una collana “...adeguata ad
un saggio contemporaneo così importante...” fino ad arrivare
alla vera e propria censura da parte del direttore Padellaro che
rifiutò ben due volte una finestra di promozione del saggio, alla
fine uscito come e.book, sul suo Fatto Quotidiano.
Sull'assassinio
di Gheddafi sarebbero poi usciti saggi partigiani di quanti avevano
condiviso o assorbito la vulgata dei criminali della NATO, di quanti
avevano raccontato una versione della storia del Nordafrica fin
troppo legata alle voglie di un neo-colonialismo, camuffato ma sempre
sanguinario come ai tempi delle varie Compagnie delle Indie, di veri
e propri collaborazionisti nordafricani che – anche con pseudonimo
femminile – avrebbero cercato di infangare la memoria dell'Eroe
assediato dalla più potente coalizione militare della Storia con
descrizioni di debauche da eroinomane.
Iniziai
il libro dopo aver scritto ed inviato alla Presidenza della
Repubblica un appello a non entrare in guerra, a non dichiarare
guerra, una guerra infame e da vigliacchi, a non renderci correi
(come immagine di Nazione e di popolo) di quello che il Tribunale di
Norimberga definiva come il peggiore e più grave dei crimini:
quello di iniziare una guerra, crimine che al suo interno condensa
tutti gli altri.
“Avviare
una guerra di aggressione, non lo si può solo configurare come un
mero crimine
internazionale,
già di per se gravissimo, ma è da considerarsi un vero e proprio
crimine supremo, per cui differisce solo dagli altri crimini
di guerra,
nel senso che contiene in sé il male accumulato di tutti i crimini
internazionali”
Ma
nessuno trovò nemmeno il tempo, io credo il destinatario della mia
lettera non avesse né il coraggio né l'autonomia, di riflettere
sulla gravità – storica, morale – di questa decisione. Legati da
patti inconfessabili a veri e propri criminali di guerra, a gente che
non ha esitato a mentire su armi chimiche e biologiche, su presunti
genocidi, venivamo ascritti d'emblée come Nazione al cenacolo
dei traditori inchiodati da Dante nel ghiaccio dell'Antenora.
Solamente
il libro di Sensini “Libia 2011” aveva affrontato con correttezza
e lealtà l'argomento della GUERRA, della quale si dimostrerà una
precisa, allucinante cronaca. Se vogliamo limitandosi ad una analisi
ancora troppo marginale del “fenomeno Jamahiriya” e del “fenomeno
Gheddafi” troppo superficialmente e modaiolamente definito laico,
analisi in qualche modo stereotipata, senza raffrontarla con
tutto ciò che Moammar rappresentava pienamente per l'Africa di
fronte al mondo e senza la calma di valutare l'importanza della
tradizione religiosa nei canoni della “Terza Via Universale”.
“Libia
il naufragio dell'Europa” è invece un saggio che si differenzia
da tutte le pubblicazioni sull'argomento libico, è l'unico infatti
che mette a confronto la realtà italiana scendendo anche nella
dimensione della provincia con la realtà internazionale,
mediterranea e tradizionale delle varie Nazioni e società e culture
e differenti concetti di civiltà. Era, ed è un libro vivo, perche
veniva scritto con Gheddafi vivo e battagliero, a dispetto degli
infami che gli davan la caccia, a suon di menzogne ed inganni e
corruttele. Soltanto alla fine, quel tragico 20 Ottobre 2011,
diventava una analisi di che cosa noi eravamo e di che cosa avrebbe
ancora potuto essere, e perché, la Jamahiriya.
Un
limite forte alla comunicazione lo si deve ascrivere – purtroppo,
sempre – a una sorta di gelosia che si è in qualche modo
connaturata in osservatori peraltro attentissimi, preparati della
Storia contemporanea, soggetti come Fulvio Grimaldi, integerrimo, a
dir poco leggendario per la sua presenza e condivisione sui veri e
propri campi di battaglia (praticamente tutti quelli di cui la mia
generazione è stata almeno anagraficamente testimone). Grimaldi
proprio non riesce a destinare pubblicamente ai meno blasonati di lui
una attenzione “sdoganatrice”. E' un atteggiamento che per altri,
che son pusillanimi, ho stigmatizzato nel “tengo famiglia” ma che
non voglio appiccicare a lui, proprio per il rispetto che merita.
Forse però per costruire una base di comunicazione dell'informazione
non allineata e critica più diffusa sarebbe necessario che i
“peones” come il sottoscritto venissero per così dire
“sdoganati” dai fratelli maggiori, anche perchè molto spesso i
“fratelli maggiori” non hanno da temere una concorrenza
“editoriale” in quanto i nostri parti sono comunque relegati ad
una coraggiosa editoria che rimane comunque di nicchia, in un momento come l'attuale, di caccia alle streghe, di manipolazione di informazioni e consenso, di omologazione ad un unico modo di pensare e comprendere. Un momento di cieco, ottuso egoismo, avvolto di paura.
Il
nostro ricordo va comunque sempre al combattente per la libertà
dell'AFRICA dal rinnovato giogo coloniale, onore a Mohammar Al
GHADDAFI.
salve
RispondiEliminada tempo, Emilio, aspettavo un tuo scritto e leggere questo, te lo assicuro, mi ha commosso.
Conosci le mie idee, ben poco conformi e ancor meno politicamente "corrette" idee ghettizzate che, a breve, diventeranno pure sanzionabili con la detenzione nelle "patrie" galere.
Ammetto di non avere, a suo tempo, una lusinghiera opionione di Gheddafi ma leggere i tuoi libri mi ha aperto la mente (scusa la presunzione, aperta perchè disposta a leggere e ascoltare tutti) e fatto conoscere realtà in modo esaustivo e onestamente corretto, realtà, che la tanto decantata stampa "democratica e pluralista" ci tiene nascoste.
Gheddafi, come altri in passato, paga l'amore verso il suo popolo, la sua sovranità, l'indipendenza e la sua libertà.
Mi auguro che un giorno, spero non troppo lontano, tutti i nodi vengano al pettine e chi dovrà pagare, paghi tutto ...
Mia bisnonna, cattolica praticante, usaca dire: Iddio non paga il sabato, PAGA a SUO tempo ...
buona domenica
saluti
Piero e famiglia
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