23 Aprile
1971 Commissione del Senato Americano sulle Relazioni Estere.
“Vorrei
parlare per conto di tutti questi veterani e dire che diversi mesi fa
a Detroit abbiamo avuto un’indagine durante la quale oltre 150
veterani congedati con onore, e molti con alte decorazioni, hanno
testimoniato sui crimini di guerra commessi nel sudest asiatico.
Questi non furono isolati incidenti ma crimini commessi
quotidianamente con la piena consapevolezza degli ufficiali a ogni
livello di comando. E’ impossibile descrivervi esattamente cosa
accadde a Detroit – le emozioni nella sala e i sentimenti degli
uomini che stavano rivivendo le loro esperienze in Vietnam. Essi
rivissero l’orrore assoluto di ciò che questa nazione, in un certo
senso, li costrinse a fare.
Essi
raccontarono che a volte avevano personalmente stuprato, tagliato
orecchi e teste, fissato cavi di telefoni portatili ai genitali e
dato corrente, tagliato arti, fatto esplodere corpi, sparato a caso
sui civili, raso al suolo villaggi in maniera simile a Gengis Khan,
ucciso bestiame e cani per divertimento, avvelenato scorte di cibo e
in genere devastato le campagne del Sud Vietnam in aggiunta alla
normale devastazione di guerra e alla normale e molto particolare
distruzione compiuta dall’applicazione della potenza di
bombardamento di questa nazione (gli USA).
….Noi
dovremmo ritornare in questo paese, dovremmo essere quieti, dovremmo
mantenere il silenzio, non dovremmo dire cosa accadde in Vietnam; ma
noi sentiamo di dover parlare a causa di ciò che minaccia questo
paese, non i comunisti, ma i crimini che noi stiamo commettendo.
Nella
nostra opinione e dalla nostra esperienza, niente può succedere nel
Sud Vietnam che realisticamente possa minacciare gli Stati Uniti
d’America. E tentare di giustificare la perdita di una vita
americana in Vietnam, Cambogia o Laos collegando tale perdita alla
difesa della libertà, che questi spostati presumibilmente abusano, è
per noi il colmo dell’ipocrisia criminale, ed è questo tipo di
ipocrisia che noi pensiamo abbia spaccato questo paese.
Noi
scoprimmo che questa era non solo una guerra civile, uno sforzo di un
popolo che aveva cercato per anni la propria liberazione da qualsiasi
influenza coloniale, ma anche che i vietnamiti che noi avevamo
entusiasticamente modellato a nostra immagine erano in difficoltà
nel proseguire la lotta contro la minaccia da cui noi presumevamo di
salvarli.
Noi
scoprimmo che la maggior parte delle persone nemmeno conosceva la
differenza tra comunismo e democrazia. Essi volevano solo lavorare
nei campi di riso senza elicotteri che li mitragliavano e bombe al
napalm che bruciavano i loro villaggi e distruggevano il loro paese.
Essi desideravano che tutto ciò che aveva a che fare con la guerra,
e in particolare con la presenza straniera degli USA, li lasciasse in
pace, e essi praticarono l’arte della sopravvivenza schierandosi
con qualunque forza militare presente in quel momento particolare,
fossero essi Vietcong, Nord Vietnamiti o Americani.
….Noi
vedemmo il Vietnam devastato in egual misura dalle bombe americane e
dalle missioni di ricerca e distruzione come dal terrorismo Vietcong
– e nonostante ciò noi ascoltammo mentre questa nazione tentava di
addossare tutta la colpa del caos ai Vietcong.
Noi
inventammo giustificazioni per distruggere villaggi allo scopo di
salvarli. Noi vedemmo l’America perdere il suo senso di moralità
accettando molto freddamente una My Lai e rifiutando di abbandonare
l’immagine dei soldati americani che distribuiscono barrette di
cioccolato e chewing gum......
...
Noi combattemmo contro queste persone usando armi che io non credo
questo paese avrebbe immaginato di usare combattendo nel teatro
europeo. Noi guardammo mentre uomini andavano all’attacco sulle
colline perché un generale aveva detto che quella collina andava
presa, e dopo aver perso uno o due plotoni essi marciavano via per
lasciare che i nord vietnamiti rioccupassero la collina. ..….......
...l’ipocrisia nel nostro risentimento sulle conferenze di
Ginevra e l’uso di ciò come giustificazione per la continuazione
della guerra, quando noi siamo più colpevoli di ogni altro di
violazioni di queste conferenze di Ginevra; nell’uso delle zone di
fuoco libero, fuoco di interdizione di disturbo, missioni di ricerca
e distruzione, bombardamenti, tortura di prigionieri, tutte pratiche
accettate da molte unità nel sud Vietnam. Questo è ciò che stiamo
tentando di dire.”
Sicuramente
il giovane in tuta verdeoliva dai capelli lunghi e dalla coscienza
tormentata a quei giorni non immaginava che il suo percorso
esistenziale lo avrebbe condotto, nella nomenclatura dei quadri
dirigenti del primo presidente nero della storia americana, al ruolo
che riveste oggi, al ruolo che rivestiva ieri, qua lo vediamo con la
consorte in compagnia dei coniugi Assad, allorquando il feroce
tiranno (l'ennesimo “feroce tiranno” a corrente alternata)
era un interlocutore di prestigio, pur già iscritto da anni nella
scomoda lista di quegli stati-bersaglio, quell'indice della vergogna
dell'Occidente (nella descrizione che ne dette il Generale Wesley Clark “We’re going to
take out seven countries in 5 years, starting with Iraq, and then
Syria, Lebanon, Libya, Somalia, Sudan and, finishing off, Iran”) stilato dalla più sinistra congerie di soggetti che
politica ed affari abbiano mai messi intorno ad un tavolo.
La sua
coscienza oggi è ben tranquilla – a quanto pare – nel
pianificare l'ennesimo disastro su scala regionale (ed alla fin fine
mondiale) ancora sul demenziale binario della delegittimazione dei
modelli culturali alternativi all'American-Way-of-life.
Intanto
il Medio Oriente, come prima il Nordafrica, va ulteriormente in frantumi, va in
frantumi dalle radici, la civiltà tradizionale disintegrata da nuove
usanze d'importazione, la cronaca dell'informazione alternativa ci
racconta da mesi ( e alla fine anche i media ufficiali non possono più negar l'evidenza) delle schiave sessuali dei mujahiddin qaedisti della
Siria, “finalmente” la pruderie della vecchia Segretario
di stato Hillary Clinton in merito al Viagra dei soldati di Gheddafi
trova la sua rivelazione nei postriboli che ospitano le ragazze di
mezzo Maghreb “inviate in missione” a soddisfare col proprio
corpo i valorosi combattenti armati da Washington e dai “rigorosi”
monarchi Wahabiti del Golfo. Queste sventurate Urì delle
banlieue più disperanti anticipano e – direi – sostituiscono
quel “paradiso” che mai dischiuderà le proprie porte a tali
combattenti.
Dietro la
notizia e ben aldilà del suo indicibile squallore c'è il “vero”
e sostanziale problema: il progetto di disgregazione di una identità,
di una cultura, del rapporto e del ruolo della donna nella società
maghrebina e mediorientale, la riduzione del corpo a vera merce,
quello di cui gli emancipati liberatori occidentali hanno accusato da
sempre la società dell'Islam. Adesso invece con munizioni d'ogni calibro, armi non
convenzionali e Viagra arrivano finalmente il progresso e la civiltà
anche nelle terre oscurantiste. E le donne a gambe larghe, come pare sia d'uso nei paradisi dei miscredenti, in terra dell'Occidente.
In questi
mesi si è a lungo dissertato sul ruolo determinante della Russia (e
della Cina) per il mantenimento della questione siriana negli ambiti
di una questione il più possibile interna al paese dilaniato da un
conflitto sempre più feroce. In effetti la nevrosi interventista di
Obama è stata frenata unicamente dalla risolutezza di Putin
sull'argomento, al Nobel per la Pace poco interessava che la sua
grande democrazia tentennasse nelle manifestazioni di piazza degli
americani contrari all'intervento, un intervento in casa d'altri ed
oltretutto al fianco di Alqaida, al fianco di Al-Zawahiri, un giorno
artefice degli attentati dell'11 settembre ed il giorno dopo, di
fatto, alleato contro Assad, due anni prima alleato contro Gheddafi.
Gli
americani sanno bene che nel 2012, l'anno scorso, qualcosa come 6.500
reduci (delle decine di guerre che il Nobel non accenna a finire) si
sono tolti la vita... e quelli sono cittadini, vicini di casa, figli,
fratelli, mariti, padri...
Ma, per
tornare alla Russia, da parte di altri commentatori è stata
rimarcata la correttezza – anche nel caso libico – di Putin...
sull'argomento specifico il sottoscritto ha manifestato in più
occasioni la propria diffidenza verso i signori del BRIC (Brasile,
Russia, India, Cina) che con un semplice veto avrebbero impedito la
carneficina nordafricana. Nella circostanza siriana le cose sono
molto diverse, i rapporti tra Siria e Russia sono decisamente più
vincolanti (non per nulla una piccola flotta era già prima del
conflitto di stanza in quei porti, le dinamiche della strategia russa
in materia di risorse energetiche legano strettamente i due paesi) di
quelli con la Jamahiriya, Gheddafi senza doversi atteggiare a gran
condottiero alla Saddam in casa propria non accettava flotte di
occupazione e la sua allure, decisamente più individualista,
non ne faceva un suddito facilmente governabile, la sua fine – sul
campo – lo sta a confermare, qualora ve ne fosse ancor bisogno.
No, Putin
sulla Libia non è stato – come qualcuno, dalle nostalgie
veterostaliniste nemmen tanto recondite, si ostina a predicare –
ingannato dalla NATO e dall'ONU, di tutto lo si può accusare fuorché
di ingenuità, non è che è stato cresciuto in sacrestia dai
salesiani, è stato un vertice del KGB e conosce bene le cose del
mondo...e come lui gli altri gerarchi di Cina, India e Brasile, no,
con la Libia non c'erano scenari strategici delineati, il leader
libico era un soggetto troppo coriaceo per averlo come competitor
(con l'Africa al seguito) nella spartizione della torta globale,
poteva esser utile sacrificarlo, senza apparire col pugnale
insanguinato in mano, tanto ci avrebbero pensato gli altri utili
idioti di un'Europa sull'orlo del baratro economico.
Cari compagni dalle nostalgie veterostaliniste, purtroppo se davvero quell'ingenuo di Putin fosse stato un pò filantropico ed avesse esercitato il veto sulla risoluzione ONU 1973 del 2011 (no-fly-zone) avrebbe risparmiato al mondo un bel pò di casini, passati, presenti e futuri ed avrebbe messo almeno un granellino di sabbia nell'ingranaggio della dottrina Brzezinski, quella dell'instabilità...Ma purtroppo anche i più sottili strateghi talvolta restan vittime delle proprie trame, peccato che a rimetterci son sempre i popoli e non più - come in antichità - i tiranni, o una ristretta cerchia di guerrieri.
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