C'è poco da far giochi di parole,
lo scenario di guerra che si propone a questa Europa reginetta della
pace era già scritto ed abbondantemente anticipato da quanti abbiano
una pur minima conoscenza dei paesi dell'altra sponda del
Mediterraneo.
Mai come oggi quella sponda
“maledetta” diviene protagonista delle nostre situazioni
personali, crisi di governo e crisi economica sono figlie dello
stesso malessere che serpeggia a quelle latitudini, e non si risolve
niente additando come untori di questa vera e propria pestilenza
esclusivamente i grandi mercanti di risorse dei paesi in via di
sviluppo, oppure la lobby degli armamenti.
Il morbo è stato creato da una
riedizione contemporanea delle velleità del colonialismo – non
coloniali, si badi bene, ma del colonialismo, che delle
reciprocità proprie di quell'altra grande esperienza umana di
migranti ha stuprato concetti, modi e contenuti – messe a servizio
non di semplici mercanti ma inserite in una dinamica più vasta di
complessiva e globale dominazione.
Negli anni '80 due parti del mondo,
due culture e due modi di intendere la vita, la società ed il
progresso e la storia si fronteggiano con violenza, senza tregua, e
sempre fuori dai propri confini nazionali. Scelgono di volta in volta
teatri i più disparati e difficili, sembra quasi – e lo sarà –
una trasversale guerra di logoramento, sempre indiretta, per
interposta persona, sempre sulla pelle di altre nazioni: la Corea, il
Viet-Nam, la Cambogia, i più disparati paesi del Sud America, le
foreste e i deserti di mezz'Africa, le regioni del Medio Oriente,
l'Egitto.
L'ultimo teatro, in cui ancora oggi si recita a
soggetto – anche gli italiani vi sono impegnati, a farsi ammazzare
ed a farsi filmare mentre, memori ed emuli dei G.I. dopo lo sbarco di
Anzio, distribuiscono cioccolata a ragazzini che già maneggiano i
fucili d'assalto meglio di contractor – è quello Afghano.
E' la che nasce la “creatura” più riuscita di questa
strategia, è là – non tanto su montagne tetto del mondo quanto in
campi di addestramento ben strutturati – che essa alligna e
accresce la sua consapevolezza in merito alla propria forza,
accogliendo volontari idealisti, asceti, disperati, emuli degli
Ikhwan (fratelli) di quasi un secolo prima, quelli che posero,
nel Neged, le basi del dominio della casa di Saud, ancora oggi
dominante. Statisticamente la maggioranza di questi volontari
accorrerà dalla Libia dell'est. E' una forza che sarà spesso al
servizio di un padrone, di quel padrone che le ha dato la
ragion d'essere indicando anche un nemico: l'invasore sovietico. Un
padrone che - svanito quel nemico ormai tradizionale, quell'unico
concorrente al premio finale, quell'avversario che si era circondato
di un muro per non subire contaminazioni e che quasi come tutti gli
assediati della storia aveva dovuto alla fine arrendersi ed
omologarsi – inconsapevole, come solitamente lo sono gli uomini
delle energie che essi stessi hanno scatenato, le trascurerà.
La creatura crescerà, vorrà anche divenire
indipendente ed il suo mentore avrà perfino l'ipocrisia di farglielo
credere, la presunzione e la sicumera di lasciarle una cavezza molto
lunga, così che si possa dimenticarne i natali, così che appaia un
qualcosa di distaccato da lui, e si accorgerà che può utilizzarla
ancora – cinicamente - così che essa sia al contempo malattia e
medicina.
Allorché – all'indomani dell'11 settembre 2001
- “strateghi” del calibro di George W. Bush, Donald Rumsfeld,
Dick Cheney, decidono che dalle montagne dell'Afghanistan i
mujaheddin che fino a dieci anni prima loro stessi avevano
sovvenzionato hanno deciso di scendere verso Manhattan per dichiarar
guerra all'Occidente ateo e miscredente, inizia una nuova – e per
gli ingenui insensata – crociata contemporanea. Quei mujaheddin, un
tempo alleati diventano nemici, Americani, Inglesi, Italiani li
ammazzeranno e saranno da loro ammazzati, in un delirio di
illogicità, in Afghanistan, in Iraq. Statisticamente la maggioranza
dei volontari in Iraq, schierati contro la Coalizione occidentale,
accorrerà dalla Libia dell'est. Gli stessi che combatteranno Kadhafi
a fianco dei Francesi, Inglesi, Italiani. Chi è il nemico di chi? Giochi d'ombre. Sanguinari, ma giochi d'ombre rimangono.
E' nato il terrorismo internazionale, altro che i
limiti “regionali” dell'obsoleto GIA algerino! Avremo il nemico
globale, l'instabilità permanente, è l'applicazione su larga scala
delle strategie di Brzezinski, a suo tempo consigliere di Jimmy
Carter (si, quello delle noccioline) e successivamente sempre al
centro della storia dell'egemonia americana e protagonista pesante ma
dalla – lui sì – sobria visibilità mediatica.
Il nero della bandiera della creatura,
sostituito lugubremente al limpido verde del Profeta, sventolerà
spesso – sinistramente orgogliosa, cupamente sobria – accanto a
quelle frivole e multicolori dei paesi “ricchi”. Di minuto in
minuto, a corrente alternata alleata ed obiettivo, agli occhi della
dabbenaggine dell'opinione pubblica mondiale. Quello che da
vent'anni a questa parte è il nemico di tutti, per l'immaginario
collettivo la materializzazione del termine terrorista, è di volta
in volta utile alleato, avversario da debellare, motivo per intervenire, ragione per sostituirsi a... o portarlo per mano, magari verso la democrazia, il genere di consumo più esportato, ancor più della semola per il cous cous.
In Libia nel 2011 il caso recente ed eclatante, la creatura viene nutrita ed armata,
servita di comodi car-ferry per le incursioni alle città costiere, è
la parte appariscente – insieme ai malcelati corpi d'élite degli
eserciti europei, dei paesi del Golfo, degli Stati Uniti (mezzo mondo
in pratica) – del capovolgimento della Jamahiriya. I medesimi
soggetti che in Afghanistan, in Iraq, avevano sparato sui soldati
americani, liberati da carceri come Guantanamo, vengono stavolta
addestrati dagli stessi “consiglieri”. Un alto ufficiale si
rifiuta, è richiamato in patria. La logica è morta.
Dopo la Libia è la Siria il target delle
multinazionali della “solidarietà agli oppressi” a suon di
attentati e disinformazione e la bandiera nera, di nuovo, sventola
dalla parte del fronte ch'è opposta al governo di Assad. La creatura
è divenuta un professionista ed una protagonista, nei telegiornali
il suo nome è sfumato mentre al contrario le diplomazie fanno a gara
per “riconoscere” gli insorti contro il potere costituito. Ma la
creatura ha ancora un lavoro da svolgere, anzi più di uno:
tra gli altri impegni “contrattuali” ha un conto personale in
sospeso con quei Tuareg che per quasi 8 mesi hanno sostenuto sul
campo, contro la più potente coalizione militare di tutti i tempi,
l'unico uomo di stato d'Africa ad aver riconosciuto loro un diritto
di cittadinanza, Muammar al Kadhafi. Morto questi – com'era d'uso
tra i cavalieri d'un tempo, e com'è tradizione tra i beduini –
cessa la ragion d'essere, la loro visione politica e spazio-temporale
non è la nostra, sono nomadi, non possiamo valutarli col nostro
metro, hanno raccolto armi (tante) e bagagli e sono tornati nei paesi
d'origine – nomadi da sempre, mercenari mai – in ispecie in quel
Mali che da un'eternità ne ospita una comunità cospicua.
La storia va avanti, non ci si guarda indietro, ed è giusto sia così (è la realtà della Libia di oggi, la storia riparte, giorno dopo giorno, è una dimensione a noi sconosciuta, sono popoli giovani, sono popoli "di giovani", in Europa siamo nazioni di vecchi, restiamo ancorati al passato, loro vanno - comunque - avanti, le investiture carismatiche, forse, sono questo: un grande, assoluto potere ed un improvviso tramonto) potrebbe essere la metafora della parabola di Kadhafi. Per i Tuareg può essere finalmente il momento di riprendere in mano il proprio destino, da uomini liberi, il MNLA (Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad) prende campo, con la sua sola presenza allontana dai propri territori le basi di AQMI, la succursale della creatura, inquilina di questo quadrante regionale, e profitta della crisi del governo centrale per stabilizzarsi.
La storia va avanti, non ci si guarda indietro, ed è giusto sia così (è la realtà della Libia di oggi, la storia riparte, giorno dopo giorno, è una dimensione a noi sconosciuta, sono popoli giovani, sono popoli "di giovani", in Europa siamo nazioni di vecchi, restiamo ancorati al passato, loro vanno - comunque - avanti, le investiture carismatiche, forse, sono questo: un grande, assoluto potere ed un improvviso tramonto) potrebbe essere la metafora della parabola di Kadhafi. Per i Tuareg può essere finalmente il momento di riprendere in mano il proprio destino, da uomini liberi, il MNLA (Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad) prende campo, con la sua sola presenza allontana dai propri territori le basi di AQMI, la succursale della creatura, inquilina di questo quadrante regionale, e profitta della crisi del governo centrale per stabilizzarsi.
Ma sarebbe troppo semplice, forte dell'oramai
collaudato e generoso sostegno dei potentissimi emirati del Golfo, la
creatura si ripresenta, multiforme com'è e radicata com'è
nella regione saheliana di cui controlla traffici d'ogni genere.
Ricca dei denari dei propri sponsor che non si limitano a possedere
mezza Costa Smeralda e il Paris Saint-Germain la multiforme creatura
si vede affiancare dall'ulteriore acronimo “MUJAO” e in poco
tempo, con una disponibilità a dir poco formidabile di mezzi, uomini
ed armamenti sbucati fuori dal nulla del deserto del Sahara (misteri
del Sahara!) mette in un angolo il Movimento Tuareg per
l'indipendenza dell'Azawad. Questa situazione e la presenza della
creatura nel Sahel “finalmente” costringe all'intervento
pacificatore gli uomini di buona volontà: per prima la Francia,
gioca in casa, a ruota accorre (o la rincorre...) l'Italia che –
portatrice di pace e cioccolata - come per la Libia non combatte, si
limiterà a fornire supporto logistico (in Libia gli aerei italiani
nel 2011 compiranno non meno di 700 missioni operative...). Ma non è
quella italiana iniziativa estemporanea di un ministero o di un
generale bellicoso, è figlia dei programmi dell'Agenda Monti, già
in attuazione nello specifico per una maggiore affermazione
dell'Italia a fianco delle altre potenze occidentali. A cominciare
dalla Germania il cui dispiegamento di forze militari all’estero –
stando alle affermazioni di inizio anno della Cancelliera Merkel -
"coprirà presto l’intero globo". La Germania, al solito
taciturna e lavoratrice “a testa bassa”, è al terzo posto
mondiale (alle spalle di Usa e Russia) nell’esportazione di
armamenti, i “suoi” missili Patriot sono schierati (pare insieme
a centinaia di uomini) in Turchia (vecchia alleata fin de siécle)
per imporre alla Siria una no fly zone effettiva e non dichiarata.
In televisione l'MNLA viene - come prevedibile -
definito tout court “i ribelli Tuareg del nord del Mali”
per quel popolo – dall'800 in poi – non vi sarà, non dico pace,
erano e sono guerrieri, almeno rispetto e libertà. Ed oggi Hollande,
sorpreso per le capacità belliche dei “...gruppi islamisti, bene
armati ed addestrati...” prosegue il percorso di Sarkozy, ovvero il
percorso che è costretto a improntare per mantenersi un passo avanti
al concorrente americano, sempre più “protagonista” nel
quadrante sahariano ed affamato di risorse naturali e di mercati. In
ogni caso, è una vita che la Francia coloniale si ritrova i Tuareg
tra i piedi. Stavolta, con l'intervento dei soldati della CEDEAO,
l'organizzazione dei paesi dell'Africa occidentale (forse influenzata
dalla vecchia padrona europea?), sarà forse anche l'occasione giusta per
rimettere in riga le "asfissianti aspirazioni autonomiste" di quei
patetici ricordi del passato che non si sono ancor decisi ad
abbandonare spade e turbanti e che ai vari governi "allineati" non fanno che crear problemi.
La gente non si interessa di altro che di quello
che vede accanto a sé e lo fa soltanto – talora ma non sempre - se
la riguarda direttamente e se può profittarne. A chi volete importi
di gente che vive come eremiti su montagne coperte di neve, di gente
che si accontenta di una ciotola di riso o di sentir scricchiolare la
sabbia tra i denti mentre divide con le dita pizzicotti di cous cous,
che per di più ama impostare le proprie regole – anzi, la propria
regola – sull'impronta poco sofisticata di una lettura rigida di
Mosé e dei profeti... E come al solito ma chi se ne frega di quelle
polverose contrade lontane, lontanissime, che ci importa, noi abbiamo
la crisi, mandiamo l'esercito laggiù a far del bene, a metter pace
tra quei ribelli...
Pace? L'11 dicembre il gruppo PD alla Camera dei
deputati ha lamentato che “l’efficienza dello strumento militare
del nostro paese è stata messa a repentaglio dai tagli
irresponsabili operati dal precedente esecutivo” , il PD non ha invece criticato le spese folli per gli armamenti in tempo di crisi contrapposte ai
tagli a servizi e sanità, ha criticato i tagli agli armamenti
dell'epoca Berlusconi.. E' tutto dire.... Berlusconi ci ha portati in
guerra contro la Libia – paese di certo con mille questioni irrisolte ma fino a prova contraria paese sovrano e socialista – e gli
esponenti del partito che dovrebbe rappresentare l'eredità del
socialismo ne critica la sobrietà in fatto d'armamenti.
Ma in che mani siamo?!? Pace , fratelli , e bene.
Nessun commento:
Posta un commento