domenica 6 gennaio 2013

NELLA CALZA DELLA BEFANA...

La vigilia dell'Epifania, il 5 gennaio 2013, Mario Monti conferma che non scherzava, non c'era alcuna forma di sottile ironia nel suo vezzo di definire “civica” la propria lista. Ma fa di più: riesce a farci rabbrividire con una esternazione che sa di minaccia terrorista “i tredici mesi di governo appena trascorsi dimostrano quello che potremo fare nei prossimi due anni se verremo eletti”... Orbene preso atto che questi 13 mesi sono stati una carneficina sociale ed economica dobbiamo davvero tutti darci da fare per esorcizzare questa minaccia tutt'altro che velata. Dopo che – con l'IMU - quantomeno curiosamente abbiamo sborsato l'equivalente dell'esposizione del Monte dei Paschi (ancora boccheggiante dopo la curiosissima questione dell'acquisizione, nel 2007, di Antonveneta ma siamo gente comune di queste faccende complicate poco comprendiamo, dobbiamo fidarci degli addetti ai lavori) e abbiamo ripianato i debiti contratti da chissà chi e a chissà chi dovuti, dopo che abbiamo visto crescere ancora il numero dei mangiapane a tradimento – hanno assoldato altri 90 controllori per valutare le spese del palazzo, solo in Italia riusciamo a farci gabbare in questo modo – la prima azione che il guru della sobrietà dei nababbi si ripromette è la riforma della legge elettorale.
Ma a chi importa? Chi se ne frega della legge elettorale.
Ci spieghi in dettaglio, il Professore, visto che di certo è molto avvezzo a mettersi in cattedra forse difetta di esempi alla lavagna, perché dobbiamo farci carico dei debiti prodotti dalle scelte di gente come lui, o come Berlusconi, o Prodi, o Dini, o Amato, o Formigoni, D'Alema, con le nostre tasse abbiamo sicuramente contribuito agli stipendi che hanno messo in piedi le ville in Maremma a tutti i politici più illuminati della Repubblica, dalla Jotti a Rutelli, alla Melandri, abbiamo anche pagato passatempi di diverso tenore, anche puttane e travestiti, perché è questo che facciamo, anno dopo anno, arrabattandoci di lavoro e responsabilità per pagare i loro stipendi e le loro pensioni, abbiamo pagato appannaggi a soggetti come Gianni Agnelli, senatore a vita della Repubblica, uno che forse aveva anche del suo, per star bene (e che nella politica non vedeva di buon occhio la presenza dell'Imprenditore), uno che gestiva una azienda leader, sostenuta dalla cassa integrazione un anno si e l'altro pure, ma ve ne rendete conto?!
Ciascuno deve fare la propria parte” aveva più volte bofonchiato Napolitano, censore per ruolo, con la sua intangibile prebenda presidenziale. Ma lui, l'ha fatta la sua parte? O l'abbiamo fatta solo noi, per lui e per quelli come lui? Oppure è un altro invito “armiamoci e partite?” E' vero che siamo tutti sulla stessa barca, ma talvolta si è dovuto constatare che alcuni remavano contro ed altri nemmeno remavano.
Le forche caudine della BCE? Ma chi se ne frega!
Bras d'honneur. Ma lo sapete che l'Islanda ha fatto proprio così? No, vero? Perché ai Tg1-2-3-4-5-7-24ore-36-ore, tempo in queste cose non se ne perde. Le notizie importanti sono le gravidanze principesche o quelle delle veline e dei divi del pallone.
Quello che avvenne in quella piccola nazione ha dello straordinario per un paese democratico.
La convinzione, o meglio la convenzione mai sottoscritta per cui i cittadini debbano essere responsabili degli errori di un monopolio finanziario che impone di pagare i debiti privati a tutta una nazione andò in frantumi, la relazione tra i cittadini e le istituzioni politiche subì una trasformazione e, alla fine, ha portato i dirigenti islandesi sullo stesso piano degli elettori.
Il Capo di Stato, Olafur Ragnar Grimsson, si rifiutò di ratificare la legge che avrebbe reso i cittadini dell'Islanda responsabili dei debiti bancari e nel gennaio 2010 accettò l’appello al referendum.
Questo sì è un Capo di Stato che non si è sottratto alle proprie responsabilità.
Altro che mandare incursori a rubare la benzina alla pompa del distributore camuffati da beduini. O ad aiutare libici e siriani ammazzandoli casa per casa con curiosi soggetti camuffati da cecchini.
Quando gli islandesi si recarono alle urne, i banchieri stranieri minacciarono di bloccare qualsiasi aiuto dal Fondo Monetario Internazionale. Il governo britannico minacciò il congelamento dei risparmi islandesi e dei conti correnti. Come disse Grímsson: "Ci dissero che se rifiutavamo le condizioni della comunità internazionale, saremmo diventati la Cuba del Nord. Ma se avessimo accettato, saremmo diventati la Haiti del nord "
Nel referendum del marzo 2010 l'affluenza alle urne è biblica, il risultato un plebiscito: il 93% vota contro il rimborso del debito.
Il FMI congelò immediatamente i prestiti. Ma la rivoluzione (non trasmessa in TV negli Stati Uniti) non si fece intimidire. Con il supporto di una cittadinanza furiosa, il governo avviò indagini civili e penali sui responsabili della crisi finanziaria.
L’Interpol emise un mandato di arresto internazionale per l'ex presidente di Kaupthing, Sigurdur Einarsson, e per altri banchieri coinvolti che fuggirono dal paese.
La messa in discussione della democrazia rappresentativa in Italia non è cosa da facinorosi, anarcoidi (quelli appaiono curiosamente quando serve qualche capro espiatorio), terroristi o – cronologicamente – vezzo degli ultimi mesi, frutto del virus maligno dell'antipolitica come vorrebbero insinuare i soliti soloni e professori. Non è esito fisiologico di una crisi economica senza precedenti, questa è la spiegazione funzionalista e assolutamente pratica che se ne vuol dare.
La questione prima ancor che pratica – è ovvio, il Manzoni dovremmo ricordarlo parla di sommosse per il pane e Gianburrasca canta che “il popolo affamato fa la rivoluzion...” - è morale ed etica.
Buona parte della società italiana negli anni '80 assiste al delirio di onnipotenza di quella cerchia di affaristi correlati alla politica che vivono l'Italia – indistintamente, da nord a sud – come una personale riserva di caccia. Sono gli anni delle varie “Milano da bere”, e dei cioccolatini FIAT (metaforicamente cioccolatini) per contrappasso nella capitale gli strenui avversari socialisti e democristiani si riuniscono in assise private a colazione in discreti appartamenti “d'affari”. E' un mondo dorato, che sta partorendo quella che anche visivamente si configura come una vera e propria casta di soggetti cui niente è precluso, una corte di paraninfi, nani e ballerine, imprenditori rampanti, assessori vari, bon vivants che per meriti magari di alcova vedono schiudersi i portoni altrimenti sigillati dei salotti “buoni” della finanza e dell'affarismo. Da questo mondo rutilante restan fuori un po' per atavico disprezzo della politica (intesa come maneggii) gli imprenditori veri, pochi dei grandi, in genere i piccoli, quelli che non fanno notizia ma creano lavoro senza mungere ad ogni piè sospinto le casse dello Stato anzi sostenendolo col proprio sangue nemmeno fossero vergini sacrificali offerte a Dracula, resta fuori insomma più che altro la società, quella che fa girare l'intero ingranaggio dell'Italia, ogni giorno, con fatica, non trascinando la notte nei night alla maniera surreale del De Michelis, puntuale bersaglio dei vignettisti dei quotidiani, ma combattendo contro una macchina burocratica che ogni giorno di più dimostra di esistere solo per autoalimentarsi. Paradossi grotteschi, conversando con un dirigente comunale un giorno ebbi a sintetizzare la questione in modo forse brutale ma efficace: “Combatto ogni giorno contro di te per pagarti lo stipendio”.
Nessuno sembra poter porre fine al malcostume, al menefreghismo, fan carriera solo gli ammanicati, le brutte architetture invadono città e periferie, non serve qualificarsi, far ricerca, è sufficiente - e necessario - lo sponsor giusto, nelle costruzioni vince la volumetria, non mai la qualità, nelle corsie di ospedale la spunta il più furbo, il più amico, per gli altri ci sarà una gavetta senza fine, a pochi interessa il tema, in qualche modo le inefficienze stesse di quel sistema burocratico e fiscale e la sua relativa “permeabilità” rendono comunque possibile – in un momento ch'è ancora di trend positivo dell'economia – fregarsene e guardare avanti.
Sarà paradossalmente un evento fortuito o, chissà, divino, a lanciare il segnale di avvio del crollo di un sistema. Forse c'é davvero un Dio e forse qualche volta perde la pazienza e la smette di perdonare a quel parassita del figliol prodigo, o almeno manda messaggi, inizia a cambiare il vento, ma è una brezza, perché divenga un forte libeccio ci vogliono ancora anni, ci vorrà il 17 febbraio del '92 allorché Mario Chiesa, il direttore del Pio Albergo Trivulzio viene arrestato. Poi la storia d'Italia apre il calendario delle udienze di quella che sarà la stagione di Mani Pulite, ma anche una notte dei lunghi coltelli dei partiti storici, un si salvi chi può, un rimpallo di responsabilità e complicità da cui nessuno è immune, un gioco al massacro da cui nessuno, nei palazzi del potere, esce indenne. Qualcuno dei politici e dei tycoon dell'impresa nazionale, più all'antica, più debole, più orgoglioso – chissà – si suicida o viene suicidato, nemmeno questo sapremo mai con certezza, nel Belpaese dei segreti di Pulcinella, dei misteri delle stragi di Stato? irrisolte, Belpaese degli aerei pieni di gente abbattuti per i war games di qualche generale “accecato” come i controllori radar dalla paranoia della “strategia” atlantica, nell'economia globale delle missioni umanitarie all'odor di papavero, diamanti, uranio e smeraldi, degli sconti miliardari sul greggio, contrattati a porte chiuse in qualche stanza di compensazione sulla pelle di qualche lontano paese non allineato, invaso e reindirizzato "sulla retta via". L'autorevolezza e credibilità di tanti politici, oggi, è quella che risulta dalle parole che – anni dopo, a proposito delle scelte di una amministrazione locale – un anziano attivista di partito mi confiderà “ Vedi, io devo continuare a credere che non abbia avuto vantaggi personali, ma per una sola ragione, che mi sentirei troppo preso in giro a dover riconoscere il contrario. E' per me, che devo pensarla così, non per altri” la sottesa amarezza e comunque la dignità (che non è certamente assolutoria) che anch'io voglio leggere in queste parole la dicono lunga. Come lunga è la china che la classe politica in Italia, ha da risalire, anche in termini di dignità e credibilità.

E' per quello che – a metà anni '90, con la legge per l'elezione diretta del sindaco – nacque il movimento delle Liste Civiche, quelle vere, non quelle dei boiardi riciclati, più avvezzi a cambiare il nome alle cose che a cambiar sistema, sempre dietro uno schermo – fittizio – della Costituzione, della Democrazia, i Padri Fondatori, caro Benigni, si rivoltano nelle tombe.
Senza tanta retorica, era quello il momento di metter fuori la testa, rimboccarsi realmente le maniche partendo dalle cose più piccole, pratiche, lo spreco, l'abuso, l'inefficacia e i privilegi erano già anche lì, nella cellula base, nelle realtà locali, dove hai ancora un contatto con la gente, dove vale ancora quell'arcaico concetto di elettività “carismatica”, i massimi sistemi sono per l'appunto troppo “massimi”, allargati, sono per chi non vuol avere responsabilità del decidere e del fare.

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