Ma a chi
importa? Chi se ne frega della legge elettorale.
Ci
spieghi in dettaglio, il Professore, visto che di certo è molto
avvezzo a mettersi in cattedra forse difetta di esempi alla lavagna,
perché dobbiamo farci carico dei debiti prodotti dalle scelte di
gente come lui, o come Berlusconi, o Prodi, o Dini, o Amato, o
Formigoni, D'Alema, con le nostre tasse abbiamo sicuramente
contribuito agli stipendi che hanno messo in piedi le ville in
Maremma a tutti i politici più illuminati della Repubblica, dalla
Jotti a Rutelli, alla Melandri, abbiamo anche pagato passatempi di
diverso tenore, anche puttane e travestiti, perché è questo che
facciamo, anno dopo anno, arrabattandoci di lavoro e responsabilità
per pagare i loro stipendi e le loro pensioni, abbiamo pagato
appannaggi a soggetti come Gianni Agnelli, senatore a vita della
Repubblica, uno che forse aveva anche del suo, per star bene (e che
nella politica non vedeva di buon occhio la presenza
dell'Imprenditore), uno che gestiva una azienda leader, sostenuta
dalla cassa integrazione un anno si e l'altro pure, ma ve ne rendete
conto?!
“Ciascuno
deve fare la propria parte” aveva più volte bofonchiato
Napolitano, censore per ruolo, con la sua intangibile prebenda
presidenziale. Ma lui, l'ha fatta la sua parte? O l'abbiamo fatta
solo noi, per lui e per quelli come lui? Oppure è un altro invito
“armiamoci e partite?” E' vero che siamo tutti sulla
stessa barca, ma talvolta si è dovuto constatare che alcuni remavano
contro ed altri nemmeno remavano.
Le forche
caudine della BCE? Ma chi se ne frega!
Bras
d'honneur. Ma lo sapete che l'Islanda ha fatto proprio così? No,
vero? Perché ai Tg1-2-3-4-5-7-24ore-36-ore, tempo in queste cose
non se ne perde. Le notizie importanti sono le gravidanze
principesche o quelle delle veline e dei divi del pallone.
Quello che avvenne in quella piccola nazione ha dello
straordinario per un paese democratico.
La convinzione, o meglio la convenzione mai sottoscritta
per cui i cittadini debbano essere responsabili degli errori di un
monopolio finanziario che impone di pagare i debiti privati a tutta
una nazione andò in frantumi, la relazione tra i cittadini e le
istituzioni politiche subì una trasformazione e, alla fine, ha
portato i dirigenti islandesi sullo stesso piano degli elettori.
Il Capo di Stato, Olafur Ragnar Grimsson, si rifiutò di
ratificare la legge che avrebbe reso i cittadini dell'Islanda
responsabili dei debiti bancari e nel gennaio 2010 accettò l’appello
al referendum.
Questo sì è un Capo di Stato che non si è sottratto
alle proprie responsabilità.
Altro che mandare incursori a rubare la benzina alla
pompa del distributore camuffati da beduini. O ad aiutare libici
e siriani ammazzandoli casa per casa con curiosi soggetti camuffati
da cecchini.
Quando gli islandesi si recarono alle urne, i banchieri
stranieri minacciarono di bloccare qualsiasi aiuto dal Fondo
Monetario Internazionale. Il governo britannico minacciò il
congelamento dei risparmi islandesi e dei conti correnti. Come disse
Grímsson: "Ci dissero che se rifiutavamo le condizioni della
comunità internazionale, saremmo diventati la Cuba del Nord. Ma se
avessimo accettato, saremmo diventati la Haiti del nord "
Nel referendum del marzo 2010 l'affluenza alle urne è
biblica, il risultato un plebiscito: il 93% vota contro il rimborso
del debito.
Il FMI congelò immediatamente i prestiti. Ma la
rivoluzione (non trasmessa in TV negli Stati Uniti) non si fece
intimidire. Con il supporto di una cittadinanza furiosa, il governo
avviò indagini civili e penali sui responsabili della crisi
finanziaria.
L’Interpol emise un mandato di arresto internazionale
per l'ex presidente di Kaupthing, Sigurdur Einarsson, e per altri
banchieri coinvolti che fuggirono dal paese.
La messa
in discussione della democrazia rappresentativa in Italia non è cosa
da facinorosi, anarcoidi (quelli appaiono curiosamente quando serve
qualche capro espiatorio), terroristi o – cronologicamente –
vezzo degli ultimi mesi, frutto del virus maligno dell'antipolitica
come vorrebbero insinuare i soliti soloni e professori. Non è esito
fisiologico di una crisi economica senza precedenti, questa è la
spiegazione funzionalista e assolutamente pratica che se ne vuol
dare.
La
questione prima ancor che pratica – è ovvio, il Manzoni dovremmo
ricordarlo parla di sommosse per il pane e Gianburrasca canta che “il
popolo affamato fa la rivoluzion...” - è morale ed etica.
Buona
parte della società italiana negli anni '80 assiste al delirio di
onnipotenza di quella cerchia di affaristi correlati alla politica
che vivono l'Italia – indistintamente, da nord a sud – come una
personale riserva di caccia. Sono gli anni delle varie “Milano da
bere”, e dei cioccolatini FIAT (metaforicamente cioccolatini) per
contrappasso nella capitale gli strenui avversari socialisti e
democristiani si riuniscono in assise private a colazione in discreti
appartamenti “d'affari”. E' un mondo dorato, che sta partorendo
quella che anche visivamente si configura come una vera e propria
casta di soggetti cui niente è precluso, una corte di paraninfi,
nani e ballerine, imprenditori rampanti, assessori vari, bon
vivants che per meriti magari di alcova vedono schiudersi i
portoni altrimenti sigillati dei salotti “buoni” della finanza e
dell'affarismo. Da questo mondo rutilante restan fuori un po' per
atavico disprezzo della politica (intesa come maneggii) gli
imprenditori veri, pochi dei grandi, in genere i piccoli, quelli che
non fanno notizia ma creano lavoro senza mungere ad ogni piè
sospinto le casse dello Stato anzi sostenendolo col proprio sangue
nemmeno fossero vergini sacrificali offerte a Dracula, resta fuori
insomma più che altro la società, quella che fa girare l'intero
ingranaggio dell'Italia, ogni giorno, con fatica, non trascinando la
notte nei night alla maniera surreale del De Michelis,
puntuale bersaglio dei vignettisti dei quotidiani, ma combattendo contro una macchina burocratica che ogni giorno di più
dimostra di esistere solo per autoalimentarsi. Paradossi grotteschi,
conversando con un dirigente comunale un giorno ebbi
a sintetizzare la questione in modo forse brutale ma efficace:
“Combatto ogni giorno contro di te per pagarti lo stipendio”.
Nessuno
sembra poter porre fine al malcostume, al menefreghismo, fan carriera solo gli ammanicati, le brutte architetture invadono città e periferie, non serve qualificarsi, far ricerca, è sufficiente - e necessario - lo sponsor giusto, nelle costruzioni vince la volumetria, non mai la qualità, nelle corsie di ospedale la spunta il più furbo, il più amico, per gli altri ci sarà una gavetta senza fine, a pochi interessa il tema, in
qualche modo le inefficienze stesse di quel sistema burocratico e
fiscale e la sua relativa “permeabilità” rendono comunque
possibile – in un momento ch'è ancora di trend positivo
dell'economia – fregarsene e guardare avanti.
Sarà
paradossalmente un evento fortuito o, chissà, divino, a lanciare il
segnale di avvio del crollo di un sistema. Forse c'é davvero un Dio
e forse qualche volta perde la pazienza e la smette di perdonare a
quel parassita del figliol prodigo, o almeno manda messaggi, inizia a
cambiare il vento, ma è una brezza, perché divenga un forte libeccio ci
vogliono ancora anni, ci vorrà il 17 febbraio del '92 allorché
Mario Chiesa, il direttore del Pio Albergo Trivulzio viene arrestato.
Poi la storia d'Italia apre il calendario delle udienze di quella che
sarà la stagione di Mani Pulite, ma anche una notte dei lunghi
coltelli dei partiti storici, un si salvi chi può, un rimpallo
di responsabilità e complicità da cui nessuno è immune, un gioco
al massacro da cui nessuno, nei palazzi del potere, esce indenne.
Qualcuno dei politici e dei tycoon dell'impresa nazionale, più
all'antica, più debole, più orgoglioso – chissà – si suicida o
viene suicidato, nemmeno questo sapremo mai con certezza, nel
Belpaese dei segreti di Pulcinella, dei misteri delle stragi di
Stato? irrisolte, Belpaese degli aerei pieni di gente abbattuti
per i war games di qualche generale “accecato” come i
controllori radar dalla paranoia della “strategia” atlantica,
nell'economia globale delle missioni umanitarie all'odor di
papavero, diamanti, uranio e smeraldi, degli sconti
miliardari sul greggio, contrattati a porte chiuse in qualche stanza di compensazione sulla
pelle di qualche lontano paese non allineato, invaso e reindirizzato "sulla
retta via". L'autorevolezza e credibilità di tanti politici, oggi, è
quella che risulta dalle parole che – anni dopo, a proposito delle scelte di una amministrazione locale – un anziano attivista di partito mi
confiderà “ Vedi, io devo continuare a credere che non abbia avuto vantaggi personali, ma per una sola ragione, che mi
sentirei troppo preso in giro a dover riconoscere il contrario. E'
per me, che devo pensarla così, non per altri” la sottesa
amarezza e comunque la dignità (che non è certamente assolutoria)
che anch'io voglio leggere in queste parole la dicono lunga. Come lunga è la china che la classe politica in Italia, ha da risalire, anche in termini di dignità e credibilità.
E' per
quello che – a metà anni '90, con la legge per l'elezione diretta
del sindaco – nacque il movimento delle Liste Civiche, quelle vere,
non quelle dei boiardi riciclati, più avvezzi a cambiare il nome
alle cose che a cambiar sistema, sempre dietro uno schermo –
fittizio – della Costituzione, della Democrazia, i Padri Fondatori,
caro Benigni, si rivoltano nelle tombe.
Senza
tanta retorica, era quello il momento di metter fuori la testa, rimboccarsi realmente le maniche partendo dalle cose più piccole, pratiche, lo spreco, l'abuso,
l'inefficacia e i privilegi erano già anche lì, nella cellula base,
nelle realtà locali, dove hai ancora un contatto con la gente, dove
vale ancora quell'arcaico concetto di elettività
“carismatica”, i massimi sistemi sono per l'appunto troppo
“massimi”, allargati, sono per chi non vuol avere responsabilità del
decidere e del fare.
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