lunedì 21 gennaio 2013

a...MALI...estremi


Venerdì scorso, dopo aver pubblicate le mie prime considerazioni sulla questione maliana, ho avuto l'occasione di assistere ad un interessante convegno alle Oblate, a Firenze, nell'ambito delle conferenze che su argomenti africani e saheliani una Onlus locale mette in programma regolarmente. L'ascoltare su questo tema esperti di geopolitica e di lingua berbera e non leggere i soliti strambotti sui quotidiani era già di per sé una forte attrattiva. Al di là delle personali opinioni su temi specifici di politica internazionale e su guerre e rivoluzioni una cosa mi ha colpito: l'avvenuta costituzione di pregiudizi nei confronti di quanti non condividano appieno il “benevolo sforzo” di omologazione al nostro modello di “democrazia”, il ricondurre comunque sempre ad un nostro – eurocentrico – punto di vista. Se ci si discosta da tale posizione, beh, si rischia di venir collocati (con belle odalische? Perché no!) a giacere mollemente sui soffici divani di una quasi romantica e neo-orientalistica visione del mondo e delle cose d'oltremare. Anche quando invece il nostro moderno ed efficiente punto di vista in materia economica è stato già applicato a quei lontani paesi di diversa cultura e tradizione. Nello specifico si è detto che il nord del Mali, genericamente individuato dal concetto pseudogeografico di Azawad (l'Azawad è un fiume fossile che attraversa parte del paese), è rimasto penalizzato rispetto al sud e quindi i nostri migliori auspici per risolvere la questione dei poveri Tuareg ha da essere quella di indicare loro le mirabili sorti e progressive che dall'economia di mercato e dalla democrazia parlamentare posson derivare. Ma proprio qua sta la questione, i nostri modelli già son stati applicati in quel paese, come pure nel vicino Regno del Marocco, nel Senegal e han causato sfracelli, si tratta degli aggiustamenti strutturali indicati a suo tempo dagli esperti del Fondo Monetario Internazionale che in realtà determinarono questo stato di cose: la mancanza di investimenti nel nord del paese. (Gli aggiustamenti strutturali sono stati uno dei principali “cavalli di Troia” per introdurre nella parte di pianeta definita “in via di sviluppo” i gangli dell'economia finanziaria di modello liberista. Risultano tra i primi elementi del cosidetto decalogo del “Consenso di Washington” formulato alla fine degli anni '80 dall'economista John Williamson. Gli aggiustamenti strutturali si basano sui tagli alle spese pubbliche e su massicce privatizzazioni. AbdouDiouf, successore di Senghor alla presidenza della Repubblica del Senegal, tutto sommato assai legato alla Francia ed aderente ai principi economici provenienti dall'Europa non potè fare a meno di commentare sarcasticamente allorché gli inviati del Fondo Monetario pretendevano da lui l'aumento del prezzo del latte nel suo paese, allo scopo di poter accedere all'aiuto internazionale), di questo argomento ho trattato nel mio saggio sulla crisi del nostro modello di sviluppo contrapposto ai paesi giovani del Mediterraneo "Libia il naufragio dell'Europa", vedo che il giudizio sugli aggiustamenti strutturali è condiviso da molti esperti della regione saheliana.
Mi guardo intorno e spero di svegliarmi da quello che appare un incubo. Ma è invece la realtà. Tutta una serie di ipotesi messe in fila fino da venti/venticinque anni addietro pare si siano concretizzate. La fine di una imprenditoria, la scomparsa dell'imprenditoria – se mai c'era stata e non si era trattato al contrario solo di colpi di fortuna e spregiudicate e scaltre iniziative individuali – della provincia fiorentina (la provincia di una volta, quella che geograficamente comprendeva anche Prato e culturalmente il preteso retaggio d'una industriosa arte d'arrangiarsi), la trasformazione del territorio – prima o insieme a quella del paesaggio – in una omogeneizzazione di brutta periferia palazzinara che nemmeno gli anni '50/'60 nel loro entusiasmo e nella tutto sommato ingenua ignoranza degli operatori avevano osato proporre. E la gente subisce, quasi in anestesia, aiutata da una televisione che più di sempre dissimula, in un vedo-non-vedo ruffiano di anchor-men accomodanti, di esperti quantomeno sprovveduti, di giullari settimanali che ci abituano con vignette e gags a convivere con questa grande frode.
Ruffiani.
L'anestesia ha marciato quotidiana, sotto le forme più banali e “familiari”, abituandoci al degrado , al lasciar correre, al dare importanza a dettagli e scordarci dell'insieme. La pagliuzza e non la trave.
Le strade cittadine – leit motiv di ogni programma di campagna elettorale – che paiono vieppiù trasformate, grazie agli appalti al massimo ribasso, in campi prova per la Paris-Dakar. Ci siamo abituati ai lavori scadenti.
Abbiamo assistito alla fuga con premio delle aziende, con gli orizzontali ingombri degli opifici trasformati in orpelli verticali multipiano grazie a Piani di Recupero tanto incuranti di aspetti paesaggistici e di estetica quanto generosi, per la gioia di intrallazzatori e per il lucro di imprenditori che d'impresa non sanno niente, di tecnici che di composizione ed architettura e paesaggio niente sanno e che sempre meno sono tecnici e sempre più – prostituendo la professione - si improvvisano speculatori, di industriali che mai hanno avuto un'industria, che mai si sono sporcati le mani con la morchia e il grasso degli utensili, che mai hanno conosciuto il rischio d'impresa, che di responsabilità verso il territorio da cui hanno tratto risorse e ricchezza non sanno niente, in ciò aiutati da una Urbanistica (l'Urbanistica, divenuta veicolo di soggettività ed interessi che poco hanno a che vedere con la sua originaria configurazione di sintesi di tutte le discipline più nobili, dall'antropologia alla semantica passando per igiene e sociologia e psicologia...atte a regolare la vita della collettività , ben prima che la fredda scienza delle costruzioni ) che da scienza regina, sintesi perfetta dei concetti più essenziali e più vasti è stata ridotta a marchettara della collettività, capace solo di drenare denari per mandare avanti (gli stipendi) la macchina amministrativa. Quella scienza/sintesi di altre branche di competenze e di conoscenza quando non è tradotta in un coacervo di norme attuative contraddittorie e controproducenti è divenuta un baedeker di giustificazioni, un glossario di neologismi, grotteschi quando tentano di camuffare la verità dei fatti: “Rigenerazione urbana”. Riempie la bocca ma che vuol dire? E' molto à la page, come pure “Crediti edilizi”, sono tutte formule alchemiche per giustificare trasformazioni di volumi, spostamenti di volumi esistenti ma non più utilizzati (e chi se ne frega? Avranno pur costituito fonte di reddito o no? Fanno comunque parte del rischio d'impresa, se non servono più il proprietario li demolisce e li smaltisce, non prende o contratta un premio in aggiunta, la buonuscita ...) in una economia di carta.Gli oneri della Legge Bucalossi, datata 1977, erano destinati agli interventi di mantenimento e realizzazione delle cosidette opere di urbanizzazione (fogne, strade, scuole, illuminazione, ecc.) via via, complice un meccanismo perverso di indebitamento dei Comuni, sono stati impiegati quasi per intero per la cosidetta spesa corrente, la cancelleria, gli stipendi...oggi il governo Monti, in uscita, ha riscoperto questa evidenza, uno degli ultimi D.L. riporta al massimo al 50% la possibilità di tale impegno (ma la notizia interessa a titolo informativo quasi solo gli addetti ai lavori), mentre intanto era già prevista qualche altra nuova gabella, ma non ce ne sarebbe stato bisogno, bastava non pompare negli anni la macchina delle pubbliche amministrazioni, divenute buen retiro di amici e parenti, il posto sicuro, il 27 del mese assicurato, e giù ad assumere, e giù a gonfiare le cosidette partecipate, una greppia cui il foraggio non basta mai. Certo anche un grullo a un certo punto se ne accorge, non servirebbero i Professoroni. E poi l'assoluzione vaticana e il pentimento – ruffiano e tardivo – le tasse sono eccessive.
A livello di Piana Fiorentina sono attivi e credo molto seguiti vari blogger che hanno scelto per tema di partenza alcuni - pur significativi - particolarismi, vuoi l'inceneritore, vuoi più in senso lato la questione rifiuti, vuoi la questione della pubblicità di risorse come l'acqua, oppure la “nuova” pista di Peretola, ecc. Pian piano però, la stessa importanza di tali argomenti ha come imprigionato, circoscritto – a mio modo di vedere – il dibattito che invece dovrebbe essere davvero portato a 360° su più temi ed argomenti. Credo questa limitatezza derivi proprio dal fatto che in molti casi le “testate” in primo luogo tendano a considerarsi le uniche realtà legittimate e referenziate su tali argomenti, in secondo luogo abbiano individuato come monotematico il problema, rinunciando a rendersi protagoniste di una riflessione su più scenari, al contrario necessaria proprio perché i problemi che ci affliggono sono molteplici e le cause – spesso – meno ovvie e “provinciali” di quanto creder si possa. La cura di un orticello circoscritto alla lattuga che invece dovrebbe produrre anche ravanelli e pomodori...
All'attualità – come sempre – si tratta di spostare ed adattare di volta in volta le prospettive, perché il problema non è di uno o di due, il problema è sempre di tutti, anche indirettamente.
Mi duole dirlo ma c'è ancora, credetemi, chi non l'ha capito: l'indotto – rispetto alla crisi di una singola azienda – non sono numeri o percentuali, sono persone e famiglie. E, fatto che mi duole ancor di più, quelle persone e famiglie, a breve o a lungo termine, siamo tutti noi, l'economia e la società vera, non i falsi imprenditori che per mentalità sparagnina rinunciano ad una iniziativa rimpinzandosi di dividendi o i figli che si spartiscono in eredità le spoglie di aziende altrimenti operative, non i boiardi di Stato, Regioni, Province, dagli stipendi da nababbo, non i giovani fenomeni delle frodi multimilionarie all'IVA, non i soliti noti che sull'alea delle grandi opere (TAV, Autostrade, estemporanei e fantasmagorici Ponti, compagnie aeree) costruiscono il debito che graverà sulle generazioni future.
Voglio dire che i problemi di una azienda, ed estremizzando anche quelli di un singolo, sono problemi di tutti noi. Non c'è spazio per il “dopo di me il diluvio”, non più.
Oggi più di ieri è necessario la gente si renda conto che non c'è una realtà politica cui conferire una delega in bianco. La democrazia rappresentativa come ce l'hanno spiegata semplicemente non c'è più, ma non perché – in astratto – non possa funzionare, non c'è più perché i soggetti che dovrebbero interpretarla, i nostri delegati, i nostri rappresentanti in realtà incarnano soltanto sé stessi ed i loro personali progetti e perseguono i loro personali tornaconti. Per lo più, lo abbiamo constatato, spesso anche meschini, sono i servi di un ingranaggio assai più grande di loro, e credono di spostarne le leve e premere i bottoni. Forse sarà anche così che avviene materialmente ma i loro movimenti sono comandati da altri fili, che sono altri a tirare.
Non ho soluzioni pronto uso, percepisco la necessità di far fronte comune su temi che ci riguardano, la rete offre accesso ad una platea immensa, spesso e volentieri vi imperversano soggetti che hanno scopi ben altri da quelli sbandierati.
Iersera ascoltavo sulla 3 il commento di una anziana funzionaria di ambito Protezione Civile de l'Aquila in merito ad un documento analitico sulla realtà di rischio sismico e di misure da intraprendere giacente presso tutti gli assessorati almeno dal 2000. Com'è possibile diceva la signora , con tutti i soldi che, nonostante un referendum l'avesse abrogato, la politica continuava a percepire con i finanziamenti pubblici non ci sia stato nessuno che ha nemmeno iniziato a prender provvedimenti, mettere in sicurezza un po' per volta gli edifici pubblici, le scuole, “eppure i soldi per le feste di paese c'erano sempre, per fare uno stadio di calcio c'erano, per le sciocchezze c'erano per tutti...”, l'Italia delle feste, fruste e forche, panem et circenses...
Ascoltavo le considerazioni iconoclaste di Beppe Grillo a Matera, l'accenno alle banche pubbliche. Non sono argomenti da sottovalutare. Com'è possibile che una classe dirigente e politica che da cinquant'anni ha in mano le leve del potere di una nazione come l'Italia, a confronto di un contesto internazionale quale quello che stiamo vivendo sia succube di una manica di speculatori sul debito degli stati?
Ma ci rendiamo conto che una delle ragioni fondamentali per il successo delle economie di paesi come Brasile, Russia, India e Cina ( il fantomatico “BRIC”) è che in questi paesi è concentrata la massima percentuale di istituzioni bancarie pubbliche?
In cosa si traduce questo in pratica? Cosa significa avere una banca pubblica? Non vuol dire avere i comunisti né tantomeno i fascisti al potere. Banche pubbliche hanno consentito a paesi come Canada, Australia, Argentina, di affrancarsi dallo sfracello degli interessi passivi. E del Canada tutto si può dire fuorché sia un paese “socialista”.
Negli Stati Uniti, schiacciati dagli imbrogli del 2008 della finanza di Wall Street e della new economy, l'unico Stato ad esser scampato dalla crisi è stato il North Dakota, col più basso tasso di disoccupazione ed insolvenza della Federazione.
Vuol dire che gli interessi sui debiti, sui mutui, li tiene lo Stato, non se li prendono multinazionali della finanza. Con quei soldi può fare investimenti sul territorio invece di vederli partire.
Perché invece i nostri amministratori e politici non ci parlano di questa soluzione, che fu già adottata nella Francia del 1946 senza che l'Europa precipitasse nel baratro del comunismo o in quello del fascismo? Perché continuano a non parlare di questa soluzione, l'uovo di Colombo, perché dobbiamo dubitare della veridicità di fatti di questa rilevanza se sono esposti da un altro italiano come noi, un ex comico o un ex attore, un ex operaio o un ex professore fa poca differenza per me, che ha deciso di mettere il proprio tempo a disposizione della logica?
Perché hanno permesso che lo scellerato esecutivo Monti avallasse le regole del fiscal compact volute da Bruxelles? Ma lo sapete che l'impegno sul futuro previsto da quell'accordo – siglato la notte del 21 dicembre 2012, un mese fa - costringerà i prossimi governi a fare i salti mortali per rientrare nei parametri ed i cittadini a fare anche peggio, visto che i Governi i denari li prendono dalle nostre tasche! L'allarme su questo tema lo aveva lanciato – e tempestivamente - il prof. Gustavo Piga, non da solo ma insieme ad un gruppo di economisti non omologati alle scelte miopi del Palazzo (ebbene si, ci sono anche Professori che dissentono ed alzano la voce, è nostra la responsabilità di dar loro un megafono... uno ci prova a spiegare le cose ma se la platea non capisce o è disattenta e pensa solo alle cazzate di Corona e la gravidanza dei Reali d'Inghilterra..., alle frasi fatte, trite e ritrite dei nostri politici...)
Il vero razzismo e fascismo intellettuale lo praticano e lo sanno far bene i capi apparato, i capi loggia di un potere senile, servo e tributario di una dimensione della politica che – i moti di là dal Mediterraneo ce lo indicano – ha davvero fatto il suo tempo e deve lasciare il posto al futuro.
Ma li avete veduti? Si preparano a spolpare ancor più la carogna di questo continente, non sazi si guardano attorno e scagliano i propri cani da caccia verso il sahel, già invaso da quella “peste” che hanno creata appositamente per avere un motivo per tornare. Ma li avete veduti, tutti coi capelli bianchi, anche già a trent'anni, oppure tinti come nemmeno Little Tony, trucide macchiette di un potere micotico e saprofita, tutti falsi potenti, camuffati da capi, servi di un sistema dai numeri truccati.
Anche io voglio offrire la possibilità di un dibattito o almeno una riflessione davvero trasversale, non finalizzata ad un interesse di bottega, posso mettere sul tavolo esperienze e visioni davvero trasversali che talvolta è complicato avere la testardaggine di perseguire, attraverso un cammino sicuramente faticoso ma che talvolta si è illuminato diventando una cavalcata entusiasmante, spesso in paesi dalle tradizioni così diverse dalle nostre da essere quasi uguali (non son matto, il bacino del Mediterraneo ha offerto alle due sponde, nei secoli, mille opportunità di scambi, ed ancora oggi potrebbe essere così, se non riducessimo tutto alla logica della sopraffazione, nelle forme più subdole o più plateali e violente) paesi a due passi, anzi a due bracciate di mare da noi e di cui nessuno ha parlato per decenni, nell'atavica ignoranza della classe politica che oggi scopre l'acqua calda solo per andare  - anzi, per mandare - ad ammazzare altra gente.
Eh si, c'è parecchio da fare, e da cambiare.
Ma vedete che se parliamo di Africa parliamo di noi e se parliamo di noi parliamo di Africa? Parliamo degli stessi problemi, solo che per l'Africa li vediamo scritti su una pagina bianca, pressoché vergine, mentre la nostra pagina è imbrattata, piena di scarabocchi e distinguiamo peggio la verità dalla bugìa.
I paesi giovani fanno le rivoluzioni.
Ma l'Italia è ancora abbastanza giovane per rovesciare questo stato di cose, o siamo già troppo quieti e posati (non saggi) ed ignavi?

1 commento:

  1. Quello che dici è pura verità l'Italia è diventata come il terzo mondo se non ci diamo una mossa è una catastrofe ,lo sbaglio è stato di noi italiani a lasciarla in mano alla troppa politica in mano a gente che i più non sa' minimamente quello che vuol dire lavorare veramente (tanto che gli frega)loro un lavoro ce l'hanno perché purtroppo la politica è soltanto un lavoro e molto ben retribuito e per allargare i posti hanno fatto regioni e province, dicono che le vogliono abolire (ci credi?)ci sarebbe troppo da parlare (corruzione burocrazia mafia evasione fiscale ed altro)tutte cose che marciano a fianco della politica .Sappiamo bene che anche le prossime votazioni non serviranno certo al bene dell'Italia e degli Italiani ma soltanto a loro ,verranno stanziati tot. miliardi per il mezzogiorno In 65 anni di vita l'ho sempre visto fare da tutti i governi ma quanto ci costa questo mezzogiorno? ,di solito gli Italiani a mezzogiorno pranzano ma li' mangiano solo loro insieme a ?

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