mercoledì 13 febbraio 2013

APPELLO PER IL MALI


Stamani ho inviato questo appello alle più alte  cariche dello Stato italiano, sono ben consapevole che a pochi - realmente - interessi quello che sta accadendo in Nordafrica, non da ieri, un mese, uno o venti o cento anni, la mia ingenuità non arriva a tanto, come sono ben consapevole che anche da noi abbiamo problemi cogenti e drammatici da affrontare prima di pensare a quelli altrui, e non credo nemmeno che in giro vi siano il buonsenso e l'umiltà di rinunciare ad usare per tutti ed in tutti gli angoli della Terra certi presuntuosi e consueti parametri di giudizio del valore delle cose e delle persone, della dignità umana.

  
E' per questo che "perdo tempo" a  concepire e scrivere questi messaggi, è per un sano egoismo, è per un doppio fine, che non è un qualsivoglia business né una velleità missionaria, è perché lo star bene al Mondo è un concetto semplice che sta in piedi se è condiviso a tutte le latitudini. Le teorie dell'instabilità permanente le lascio ai pervertiti paranoici.


 11 Febbraio 2013
LETTERA APERTA
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA ED AL MINISTRO DEGLI ESTERI

APPELLO PER LA CESSAZIONE DELLE OSTILITA' IN MALI
RICHIESTA DI RICONOSCIMENTO INTERNAZIONALE DELLO STATO INDIPENDENTE DELL'AZAWAD

Signor Presidente,
Signor Ministro,
dopo quasi un anno durante il quale nei territori della Repubblica del Mali non sono praticamente mai cessati sanguinosi conflitti interni per la più gran parte cagionati da una ultracinquantennale rivendicazione di indipendenza da parte delle etnìe che si riconoscono nel concetto politico-geografico di Popolo dell'Azawad, i cittadini italiani assistono all'evolversi dell'intervento militare iniziato il giorno 11 gennaio 2013 dalla Francia ed appoggiato – con consiglieri e logistica – anche dal Governo italiano, a prender atto delle dichiarazioni rilasciate in data 18 gennaio 2013 dal Ministro per la Coperazione Internazionale Riccardi, seppur successivamente oggetto di un revirement da parte dell'esecutivo, comunicato il 28 gennaio dal Premier Monti.
Per tale intervento lo scopo dichiarato era quello di combattere il “terrorismo islamista”, ad impedire agli schieramenti ad esso riconducibili di avanzare verso il sud di quel paese, minacciandone la capitale, Bamako, e di combattere nella circostanza i gruppi armati di stile mafioso legati notoriamente a traffici di ogni “genere” di mercanzia, dalla droga agli esseri umani.
Fin troppo ovvio dire che la regione sahelo-sahariana è una dimensione caratterizzata da contatti allargati ed aperti in cui la circoscrizione entro confini artificiosi ha costretto alla convivenza forzata culture (civiltà) tra esse stesse letteralmente collidenti, come i pastori transumanti del nord e gli agricoltori sedentari del sud, mentre su un teatro più globale questi territori (il Mali è forse il terzo produttore africano di oro oltre che custode di una messe sterminata di altre risorse minerarie) costituiscono riserva di caccia delle multinazionali più spregiudicate.
Proprietà dell'immagine riservata


Questo per ricordarVi che tali problemi, di interessi, interferenze e sovranità relative sono per l'appunto – nella regione sahariana - ben più datati degli accadimenti degli ultimi mesi, accadimenti che agli occhi dell'opinione pubblica mondiale hanno finalmente evidenziate le rivendicazioni degli abitanti della cosidetta regione de l'Azawad, rivendicazioni identitarie assai sentite e storiche, risalenti con certezza documentata ben prima dell'indipendenza, dai primi anni '50 almeno al 1958 allorché i capi Tuareg riuniti a Kidal nell'associazione allora conosciuta come MPA (Movimento Popolare dell'Azawad) chiedevano reiteratamente alla Francia di Coty prima, e di De Gaulle poi, di aver risparmiata l'annessione a Stati che matematicamente sarebbero stati governati da etnìe storicamente antagoniste alla loro, minoritaria, con possibili ritorsioni. Disattese le richieste e denunciate le prime vessazioni, è al 1962, a Kidal, che data la prima ribellione (di rilevanza storica saranno quattro, compresa quella attuale), con le prime rivendicazioni di indipendenza dallo stato del Mali, i cui confini – nella miglior tradizione del colonialismo in uscita – vennero decisi a tavolino, tracciati con un righello, senza tener conto, al solito, delle realtà etnico-culturali di quei popoli e delle loro singole particolarità (in quello che spesso oggi nel gergo purtroppo meramente demagogico vengon definiti “valori”), sovrapponendo alla per di più poco approfondita storia di quelle regioni una cartografia che non è quella determinata dai retaggi di razze e tribù, delle lingue e delle culture, ma quella voluta dal nuovo colonialismo, determinata solamente purtroppo dalle risultanze di prospezioni geologiche e dalle strategie di una politica globale che calpesta quei diritti umani ipocritamente sventolati davanti agli occhi di una opinione pubblica distratta e preoccupata essenzialmente del proprio immediato futuro.
Su questo tema, nel 1943, l'ambasciatore britannico presso la Santa sede Sir Geoge Francis D'Arcy Osborne che così si espresse “...i principi e le regole della democrazia sono estranei alla natura del popolo italiano, che non si interessa di politica...La gran massa degli italiani è individualista e politicamente irresponsabile e si preoccupa soltanto dei suoi problemi economici più urgenti...”.
E' una riflessione raggelante nella sua attualità, oggi che la nostra collettività si trova ad affrontare – disorientata e di fatto orfana di indirizzi credibili – la più grave crisi sistemica e di valori mai prima configuratasi nella storia recente. Una crisi nostra che non deve però portarci all'ulteriore impoverimento di un egoistico rannicchiarci nel disinteresse degli eventi del mondo che ci circonda e nello specifico di quella parte di umanità di cui ci ricordiamo a corrente alternata, di paesi differenti dal nostro, di cui percepiamo l'esistenza solo in misura di una qualche risorsa che ce ne può derivare e dei quali – nella migliore delle ipotesi – non conosciamo nè civiltà nè tradizioni, relegandoli ad una dimensione anacronistica di comprimari della storia, di quella storia di cui noi siamo o, meglio, crediamo di essere gli attori protagonisti.

Dobbiamo essere capaci di superare il conformismo che sottende ogni nostro giudizio ed ogni nostra valutazione in merito alle culture e “civiltà” che hanno svolto un proprio personale percorso. Perché non si tratta di diversi “gradi” o “livelli” di civiltà nelle diversità, bensì di civiltà “altre”, non inferiori perché non analoghe o peggio ancora perchè non omologatesi alla nostra. Non si tratta di civiltà e culture aliene o “inferiori” solo perché si riconoscono in modelli istituzionali con dinamiche e gerarchie diverse dai nostri democratici modelli istituzionali. Che non sono – questi ultimi – migliori, o più moderni ed efficaci solo perché siamo noi a propugnarli.
Dobbiamo comprendere che – forse – abbiamo da riconoscere dignità anche a chi, a latitudini diverse dalle nostre, ha optato per una velocità differente anche nell'approccio ad un progresso che il più delle volte si è concretizzato in una mera modernizzazione tecnologica prima che in una crescita di coscienza, dobbiamo riconoscere dignità a chi rivendica – e più avanti lo vedremo esplicitato – il diritto a percorrere la propria via per una condivisione realmente diffusa delle responsabilità di governo.
In effetti, Signor Presidente e Signor Ministro, l'offensiva lanciata il 17 gennaio 2012 dall'etnia Targui contro le forze armate maliane a Menaka e nella regione di Kidal non parrebbe da ascrivere tanto ad un rigurgito di un conflitto endemico, latente e risvegliatosi – a cascata - dopo la recente Guerra di Libia.

Come pure è da correggere – perché sicura fonte di fraintendimenti e speculazioni – il convincimento che alcuni possono nutrire che il MNLA, Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad sia espressione della sola etnìa Targui. Infatti, come Azawad è sinteticamente accezione utilizzata per indicare l'intero grande Nord del Mali (la regione dell'Azawad – sinteticamente conca, vallata, in lingua tamaschek, semplificando al massimo il linguaggio figurato dei berberi - geograficamente rappresenterebbe infatti il solo bacino afferente al grande fiume fossile omonimo, questa specifica denominazione “politica” risale agli anni '40 e '50 allorché ne veniva richiesta – al pari di altre regioni africane già colonie francesi - l'indipendenza), parimenti il Movimento di Liberazione è una entità espressiva delle molteplici etnìe che si riconoscono sotto comuni princìpi di cultura e consuetudini, maturate e metabolizzate in secoli di coondivisione e di saldatura di rapporti tra le comunità maggioritarie della regione: Targui, Songhaï, Maura, Peul, Araba.
Si tratterebbe quindi, al contrario, di un nuovo tema, assai allargato, e di nuove e ancor più consapevoli rivendicazioni di quelle che venivano mosse in passato.
Distaccandosi dalle primitive istanze dei movimenti precedenti, indirizzati ad una integrazione (accettazione) maggiore dei Tuareg all'interno della società maliana e ad una implementazione degli sforzi da parte del governo centrale nella lotta alla povertà (che si erano nei fatti sostanziati, sotto la presidenza di Modibo Keita prima e di Moussa Traoré poi, nella militarizzazione del nord del paese seguita da innumerevoli episodi di cruda repressione ed in uno sfruttamento intensivo di risorse naturali senza miglioramenti nelle condizioni di vita della regione), i movimentisti odierni non trattano genericamente di sviluppo (comunque non del modello di quello sviluppo che il miraggio-Europa ha dimostrato essere una mela avvelenata), non trattano di sofismi di importazione di modelli di “altrui” democrazia che poco hanno a che fare con la concreta e “propria” civiltà degli apparentamenti clanici e tribali (che non significano tam-tam e anelli al naso) che sicuramente meritano rispetto e riconoscimento di legittima, paritetica dignità, essi oggi rivendicano nientemeno che l'autodeterminazione e l'indipendenza, non parlando semplicemente di ribellione ma definendosi movimento rivoluzionario avente come obiettivo quello di liberare il popolo dell'Azawad da quella che essi definiscono l'occupazione maliana.

Questo appello non ha l'intento di sposare acriticamente una posizione politica rivoluzionaria opposta ad un governo che ha da tempo ottenuto il riconoscimento internazionale ed ha lavorato per dotarsi di una struttura rappresentativa delle varie componenti di un paese nato – suo malgrado – sulle ceneri di una diversa pregressa configurazione di quello che fu il Sudan francese, piuttosto si pone l'obiettivo di dare riconoscibilità e dignità ad un significativo movimento popolare, da tempo espressione e concreta identificazione di una realtà storica e socio-politica regionale, su base multietnica.

Su una popolazione della regione approssimativamente quantificabile in 3 milioni di individui almeno il 60% è rappresentato da Mauri e Tuareg dei quali buona parte ha dovuto lasciare il paese a causa delle vessazionipolitiche mentre un'altra grande parte della popolazione ha dovuto spostarsi nei paesi vicini a causa delle grandi siccità degli anni '70 – prima – ed a causa del sottosviluppo, poi. E questo nonostante il sottosuolo sia ricco delle più significative risorse minerarie ed energetiche, come pure di falde acquifere tra le più significative del Sahara.

Apparentemente la questione maliana è questione interna a quella nazione, le recrudescenze dei primi mesi del 2012 a livello internazionale non paiono smuovere più di tanto gli interessi ed apprensioni ma mentre le intenzioni palesate dall'MNLA paiono del tutto verosimili, plausibili e legittime le aspirazioni enunciate dai portavoce accreditati che comunque vivono gli eventi come un fatto nazionale, nel corso degli scontri del marzo 2012 con l'esercito regolare maliano, l'aviazione statunitense, in palese violazione di qualsiasi regola di diritto internazionale effettua numerosi rifornimenti di vettovagliamenti ed armi in aiuto delle guarnigioni nei pressi di Tessalit, con un interventismo che rimarca una scelta di campo che non può che lasciar sconcertati, appena un anno dopo il più che vigoroso intervento NATO in Libia a supporto di una ribellione cui oramai quasi unanimemente i commentatori che hanno familiarità con questi temi attribuiscono una genesi assai “curiosa”. L'ingerenza esterna stavolta mirata al mantenimento dello status quo viene rimarcata da una organizzazione berbera con lettera di protesta all'Ambasciata USA di Parigi il 9 marzo 2012.
Successivamente all'entrata in scena delle più stravaganti configurazioni delle milizie qaediste da sempre (2006), già nella loro originaria – se originale – veste di GSPC algerino, avversarie dell'MNLA, la situazione maliana si complica e siamo alla storia dei mesi appena trascorsi, con l'intervento diretto della Francia dichiaratamente finalizzato a combattere il “terrorismo islamista e la criminalità di tipo mafioso dedita ai traffici di droga”
La successiva evoluzione e l'allargamento delle azioni militari intraprese dal corpo di spedizione francese (e conseguentemente delle forze italiane in qualunque ruolo coinvolte) al quadrante geografico del Nord del paese allo scopo di “...riconquistare l'integrità territoriale del Mali...” parrebbe configurarsi – anche nella valutazione di innumerevoli organizzazioni Targui europee – oltreché obiettivo illegittimo sotto il profilo del diritto internazionale (ingerenza) anche come vera e propria azione ostile contro il Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad che nel frattempo aveva dichiarato seppur unilateralmente l'indipendenza da Bamako.
L'intervento “europeo” più che il declamato obiettivo della lotta al terrorismo internazionale (che peraltro non fa mistero di generose sovvenzioni e legami sia con servizi segreti di paesi cardine del maghreb che con paesi alleati delle varie Coalizioni occidentali) parrebbe mirato al fine assai più prosaico e assai meno nobile di garantire alla Francia e ai suoi sodali il controllo delle risorse della regione dell'Azawad.

Per restare però nell'ambito della politica e della legalità, ed in considerazione anche delle implicazioni di possibili instabilità internazionali in oggetto ai paesi frontalieri del Mali e dell'Azawad (Niger, Algeria, Libia) ove analoghe comunità delle stesse etnìe che si riconoscono nell'MNLA sono sensibili a quelle che saranno le conseguenze della crisi in corso,

preso atto delle dichiarazioni di intenti che il MNLA ha reso al momento della propria dichiarazione di indipendenza avvenuta il 6 Aprile 2012 ovvero, in estrema sintesi:

-Non esser più costretti ad impegnarsi in interminabili conflitti
-Assicurare un futuro certo al nostro popolo ed al nostro territorio
-Non dover subire persecuzioni, sostituire a una violenza cieca e gratuita una autorità legittima, giusta e che si occupi del bene del nostro popolo
-Far sì che il nostro popolo non debba più sottostare alle umiliazioni ed ai soprusi dei campi per rifugiati
-Non dover sottoscrivere accordi con regimi privi di credibilità
-Poter assicurare da noi stessi la sicurezza delle cose e di tutte le persone nell'Azawad
-Garantire ad ognuna delle comunità che formano il Popolo dell'Azawad il fiorire della propria cultura, del proprio sviluppo socioeconomico, politico...in conformità ai principi per i diritti umaniriconosciuti dai vari strumenti giuridici internazionali, ed in particolare la Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Autoctoni
-Dar forma ad un contratto sociale in linea con le legittime aspirazioni del Popolo dell'Azawad

pur ribadendo di non voler aderire acriticamente ad uno specifico progetto politico e senza voler in alcun modo costituirsi una ingerenza nei fatti interni di un paese terzo, ma riconoscendo a questi “elementari” principi ed obiettivi la dignità che essi rivestono, e riconoscendo in essi le stigmate di quella “civiltà” che la nostra stessa carta Costituzionale propugna e difende, prendendo spunto da innumerevoli iniziative della Repubblica Italiana – negli anni - in merito al riconoscimento dei diritti dei popoli oppressi e di innumerevoli movimenti di liberazione nazionali o in difesa di particolarità etniche, percependo nell'impegno dell'intervento italiano nella regione una considerevole sensibilità al problema ed una altrettanto rilevante assunzione di responsabilità che non può essere – proprio per le nostre tradizioni democratiche e richiamantisi all'art. 11 della Costituzione Repubblicana (...l'Italia ripudia la Guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali …) - espressa unicamente con un intervento militare ma che debba invece svilupparsi sul più alto piano della Politica,
creandosi I presupposti per una piattaforma di dialogo realmente paritetica in cui non siano più attori da un lato i legittimi rappresentanti di uno Stato e dall'altro semplici “ribelli” ma, in questo caso, i delegati del Popolo dell'Azawad.

Con questa mia, anche in riferimento ai molti dibattiti avvenuti sul tema in sede parlamentare europea fino dall'Aprile 2012, chiedendoVi un segno forte di responsabilità ed attenzione verso le problematiche identitarie di un popolo che nonostante una vera e propria – ultracinquantennale - diaspora ha saputo e voluto proporre un vero e proprio progetto politico sulla propria terra di elezione,

PONGO
alla Vostra attenzione la questione del riconoscimento del Consiglio Transitorio dello Stato de l'Azawad, così come rappresentato dalla unilaterale dichiarazione prodotta il 6 aprile 2012 dal Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad, chiedendoVi di ratificarlo nel nome del Popolo Italiano, nell'ulteriore convincimento che ciò possa costituire un serio contributo alla cessazione delle ostilità all'interno di quel paese tormentato e nelle regioni circostanti nonchè un concreto punto di partenza per una riflessione allargata sul tema della cittadinanza delle popolazioni della regione sahelo-sahariana, unico percorso atto a promuovere una matura e condivisa consapevolezza di quei popoli nella reale indipendenza da interessi stranieri di stampo neo coloniale, consapevolezza ed indipendenza che possano condurre ad una vasta Confederazione di stati liberi come da tempo auspicata da innumerevoli intellettuali e politici africani.


Con perfetta osservanza
Emilio BORELLI

2 commenti:

  1. quanto conta la presenza cinese sul territorio?
    che i francesi stiano facendo casino per riprendere il controllo "economico" su quei territori? aiutati dagli usa e dal progetto Africom messo appuntino dagl'americani?
    chi ne fa le spese certo sono i poveri africani
    sappiamo tutti cosa hanno fatto i cinesi in Niger e forse si prestano a fare in Mali...
    ciao Marco

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  2. Fammi poi sapere cosa ti rispondono...

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