venerdì 4 gennaio 2013

IL PRIMO RAMADAN

La luna nuova dell'agosto 2011 scandisce un mese di Ramadan che poco ha in comune con la ricorrenza degli ultimi anni.
La luna dell'agosto 2011 infatti è custode di notti diverse da sempre, per quell'universo di emozioni ed emotività che spesso e superficialmente viene sintetizzato nell'espressione mondo Arabo.
Il Ramadan è, come il Natale cristiano, una ricorrenza “universale”, la sua contemporaneità geografica conferisce ai fedeli quella consapevolezza “numerica” della forza della moltitudine di cui sono parte e funzione.
Avevo scritto in un'altra circostanza dell'attesa dell'ora di maghreb immaginandone una visione estetica piuttosto efficace: una moltitudine di individui, milioni, migliaia di milioni, sparpagliati su tutti i continenti che attendono l'ora del tramonto davanti a un televisore (ove possibile) ma comunque tutti con davanti a sé un bicchiere, una brocca, una bottiglia di quell'acqua che si sono negati per tutta la giornata.
Quell'acqua che è bramata ma di cui ci si è imposto poter rinunciare in obbedienza ad un precetto, un voto, ad una regola, ad una tradizione, ad una appartenenza, ad un orgoglio, ad una consapevolezza, ad una unicità.
In questo agosto infame che per molte ragioni entrerà negli annali per le menzogne e i tradimenti, in questo agosto che verrà ricordato per i cambiamenti, le attese, le speranzose consapevolezze di buona parte dei paesi nordafricani mediterranei, ho avuto l'opportunità di vivere la convivialità e la giornaliera aspettativa derivante dal digiuno.
Orbene tutti i profeti delle tre grandi religioni monoteiste (la nostra presunzione, e mi riferisco collegialmente ad ebrei, cristiani e musulmani, è immensa, ci siamo costruiti una sorta di primato a danno dei “selvaggi” siano essi animisti neri o idolatri d'oriente) hanno trovato necessari – nel corso dei rispettivi percorsi personali – una serie di step, di analoghi passaggi: l'estremizzazione della sobrietà attraverso il digiuno, la solitudine del deserto, la prossimità al cielo offerta dalla montagna.
Per gli uomini di scienza, per gli etnologi e gli antropologi ciò va nell'ovvia conseguenza di produrre stati di alterazione propizi all'ascesi (il buio, le droghe, la solitudine, le privazioni) mentre forse si tratta essenzialmente – per quanto attiene al digiuno, almeno – di voler affermare una capacità di sobrietà, una padronanza sugli aspetti più materiali della quotidianità, un'attitudine “prussiana” di quella che agli occhi del turista appare – nemmeno tanto a torto – la meno disciplinata e più approssimativa delle collettività, un iniziarsi.
Ho avuto – dicevo – l'opportunità di condividere questo momento con amici nordafricani, sul campo, spostandomi dalla grande città ai villaggi e i douar1 della provincia estrema, fino a confondermi nella moltitudine casinista e frettolosa che affollava la dogana di Ben Guerdane, all'accesso sulla Libia, proprio alla vigilia del giorno dell'Aïd....
...Non vado alla ricerca delle tradizioni di altri per sostituirle alle mie. Non è una sorta di romantico ed esotico malessere religioso, una sindrome da estetica fascinazione. Gli amici di religione islamica nei primi giorni si stupivano che – come loro – io arrivassi digiuno ed assetato all'ora di maghreb, il tramonto, “tu hai le tue di ricorrenze, la Quaresima, non sei tenuto a rispettare le nostre...” mi apostrofavano all'inizio.
“Vedi, è questione di condividere un qualcosa che ha radici comuni, quale momento migliore per farlo? E poi è questione di rispetto” rispondevo loro “ io sono nel vostro, di mondo, in questo momento e ci sono da ospite e quindi per scelta condivido i vostri ritmi. Non sarei nemmeno a mio agio a sedermi in una gargotta a mezzodì a mangiare da solo, oppure a bermi una coca a garganella in mezzo a gente assetata. Che immagine darei oltretutto del mio, di mondo? Chi mi vedesse per strada potrebbe solo fare una sintesi giocoforza frettolosa, imperfetta e negativa della cosa, del gesto. Io sono convinto di essere veicolo di comunicazione di una cultura diversa in casa d'altri. Per me, come per voi, ogni gesto ha un significato, non è un gioco, è un linguaggio. E se non parliamo lo stesso linguaggio non può esserci dialogo. Io non sono di certo un apostata se digiuno con voi, anche Cristo ha digiunato, anche Cristo ha subito tentazioni dal demonio...è una mia scelta, nessuno me l'impone”
Vezzo passatista?
Nostalgie di arcaismi ed integralismi religiosi?
Quante sciocchezze!
Dove sta scritto che sia ridicolo e da correggere o da relegare alla sfera del bizzarro tutto ciò che è diverso da noi?
Comunque il 27 di agosto sono nel quartiere de La Goulette, maghreb è alle diciannove in punto, io mi siedo un'ora prima ed ho modo di scegliermi il tavolino, non c'è nessuno ancora al ristorante Solimano di Waywa. Quando passo da Tunisi prima o dopo trovo sempre il modo di fermarmi a mangiar qui, la cucina non è male, e a buon prezzo. A Tunisi, come altrove, mi trovo a mio agio ed alterno gli ambienti alle due estremità della forbice: il ristorante di classe come Le Golfe o la gargotta popolare. Le Golfe ha fatto la scelta strategica di restar chiuso durante la festività, così da non aver problemi col personale, quindi opto per l'alternativa.
Il gestore mi riconosce o fa finta di riconoscermi, è un vecchio bastardone di commerciante che ha il vezzo di abbigliarsi con camicie a quadri come un francese della campagna provenzale.
A questa girata ha deciso la sua propria rivoluzione del dopo Zine el-Abidine Ben Alì: i tavolini scesi dal marciapiede hanno colonizzato anche lo spazio di carreggiata che per convenzione servirebbe da parcheggio. Così ho modo di piazzarmi ad un buon tavolino in un punto ventilato, la giornata è stata torrida, con l'auto a noleggio ho potuto muovermi con maggior libertà, ho profittato del pomeriggio assolato per recarmi alla spiaggia de La Marsa, per lo più frequentata dai residenti nel quartiere di prestigio che anni addietro era denominato Marsa Cubes, come mi racconta Henda, insegnante, rientrata dal Marocco per l'Aïd. Il mio incerto, trasversale itinerario mi porta ad incontrare persone di ogni livello sociale e tutti, appena rotto un po' il ghiaccio, hanno come un bisogno di spontaneità, di comunicare un qualcosa che finora era come rattenuto, soffocato. Non è solo un comunicare, Henda entra a gamba tesa nel merito delle mie riflessioni, frutto anche lei di quello scambio-incontro culturale (padre arabo andaluso e madre francese) di continenti non mette in secondo piano l'importanza dei contatti coloniali, non rinnega la sua parte europea né accetta una approssimativa e modaiola critica al ruolo di quest'ultima, sembra percepisca l'occasione di sollevare un velo su qualcosa che all'Europa sfugge...
Non è l'eccessivo, non è la vigliacca partigianeria di facciata che fa allineare ai vincitori e linciare gli sconfitti, è un qualcosa d'altro.
E' un insieme di euforie positive, vissute in comunione nella società, si percepisce forte un qualcosa che da noi mentre ad alcuni fa tremare i polsi in altri induce ad un atteggiamento di bonario compatimento: una spiritualità diffusa, una ricerca dell'identità...
E non lo afferma il grande teologo, il sofista, il dotto, il nebuloso filosofo, te lo ripete la gente, gli anziani ma anche i giovani, istruiti e non rozzi come ce li hanno descritti, quasi tagliaborse illetterati e scarti di banlieue....Ieri uno chauffeur di auto pubblica (che orrore!!! un tassinaro come interlocutore) si è avventurato spontaneamente in una serie di dissertazioni sulle religioni, partendo da buddismo ed induismo per giungere ad una sintesi veloce delle tre grandi monoteiste, dichiarandosi poi un buon cristiano. Resteremo a parlare ancora una ventina di minuti a tassametro spento, una volta giunto a destinazione. Alla mia domanda nemmen tanto scherzosa se fosse uomo dei servizi, vista anche la stazza fisica, e sondasse le opinioni della gente, rispondeva di esser si noto ai servizi – e da tempo – per questa sua “missione”, lui ha il modo attraverso il contenitore dell'auto di poter far riflettere, suggerire, stimolare un pensiero alternativo. L'auto, veicolo nel doppio senso, una gabbia da cui non puoi uscire ed in cui, in pochi, non trascendi facilmente in una rissa. Il messaggio cristiano nella società islamica, nel nucleo elementare, mi ricorda il messaggio che De Foucauld affidava al capofamiglia, lui davvero strumento privilegiato della fede per penetrare gli ambiti intimi della casa, ambiti che il prete difficilmente può conoscere completamente...
E questo non è il momento di dimenticare, ma di additare, di gridare all'indirizzo di un universo di sordi e di ciechi, di egoisti e cinici, di illusi, di ingenui ed ipocriti, che vi sono mondi diversi, e modelli di sviluppo diversi dal nostro, e sensibilità ed entusiasmi diversi da quelli che più non ci emozionano.
Entusiasmi.
Aspettative.
Lo so, parola grossa per chi di aspettative non ne ha più. Parole grosse per chi l'entusiasmo lo sa tradurre solo con il fanatismo.
Così prendo appunti, rifletto – di certo anche a sproposito - sulla differenza tra un panettone del supermercato ed i biscottini caramellosi e fatti in casa per l'Aïd, sulle famiglie che traversano mezz'Africa per ricongiungersi e poi si spostano per mezza città per un abbraccio ai conoscenti, a spasso a piedi per il quartiere a salutare i vicini portone per portone.
Che fatica! Meglio un buon SMS preconfezionato.
E pensare che questi primitivi usano Skype per tenersi in contatto con parenti ed amici lontani, hanno confidenza quindi con la tecnologia, perché mai perderanno tanto tempo – e denaro – per tutte queste ritualità?!
Perché ritualità è cosa diversa da abitudine....
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1 Il douar è un insieme di tende o comunque abitazioni, costituisce il primo livello di aggregazione tribale.

 estratto da IL PRIMO RAMADAN in “Libia: sull'orlo del vulcano” Editrice Polaris 



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