martedì 4 novembre 2025
DALL'OLIVO e LA SACRALITA' DELLA PIANTA E DEL FRUTTO AI GIARDINI AL POSTO DEL DESERTO
Mi riferisco agli ultimi 2 commenti al post precedente.
Caro/i Anonimo/i, confidando non trovarmi di fronte a provocatori, troll o magari I.A., devo esprimere il più grande interesse alle informazioni contenute negli ultimi commenti  che affrontano il tema con una mole di notizie ( e non di mera – per quanto anche comprensibile – emotività ).  
Mi è dato lo spunto per una ribattuta anche all’ultimo commento (cronologicamente ultimo, lo so, sono un po' lento a rispondervi, ma il blogger non lo faccio di mestiere) appunto riferito all’importanza di condividere e, aggiungo di confrontarsi per uscire dalla banalità di una narrazione fatta più di opinioni personali che di conoscenza.
L’argomento è quella affermazione riguardante il “miracolo” della trasformazione di uno sterile inospitale deserto (di certo sterile e inospitale a causa – ça va sans dire - dell’ignavia dell’indole delle genti arabe...) in una ridente terra di giardini e frutteti ad opera dei nuovi “pionieri”.   NormanFinkelstein che di certo mai ha rivendicato il fenotipo ariano tipico delle legioni tedesche degli anni ‘30 e ‘40 rifletteva arrivando ad osservare che la futura più grande anzi l’unica democrazia del Medio Oriente fosse, nei fatti “... una nazione costruita sul teatro...” Quando il polacco David Grün alias Ben-Gurion proclamò la creazione del suo stato coloniale, disse: «Spinti da questo attaccamento storico e tradizionale, gli ebrei si sono sforzati, in ogni generazione successiva,di ristabilirsi nella loro vecchia patria. Negli ultimi decenni, sono tornati in massa...hanno fatto fiorire i deserti, fanno rivivere la lingua ebraica, costruiscono villaggi e città», e questa che precede è una affermazione che è risuonata con una eco persistente nella narrazione che riguarda la presa di possesso delle terre di Palestina. 
Ecco la questione:  da quando la Palestina è un deserto? Per più di 200 anni, i musulmani e i crociati hanno combattuto ferocemente per la Palestina contendendosi una terra sterile? Ma lasciam perdere i crociati e anche Napoleone (anche il còrso interessato a monti di sabbia?) e rivolgiamo la nostra attenzione ad un altro soggetto, davvero insospettabile:  Yosef Weitz. Costui, un polacco ebreo arrivato in Palestina nel 1908 - dodici anni prima di Grün - era non un qualche burocrate del dipartimento di colonizzazione del Fondo nazionale ebraico,  ne era la figura chiave, lo si può a giusto titolo definire il vero e proprio architetto del trasferimento della popolazione originaria. 
Il diario di Weitz, che si estende su cinque volumi ed è conservato presso l'Archivio sionista di Gerusalemme, inizia nel 1932 e continua fino alla sua morte nel 1970, ci rivela quali erano realmente le condizioni dei territori della Palestina oggetto dell’interesse dei nuovi “pionieri”. 
Durante l'estate 1941, Weitz percorse il centro della Palestina e annotò le sue osservazioni nel suo diario: Grandi villaggi popolati e circondati da terre coltivate dove crescono olive, uva, fichi, sesamo e campi di mais…
La descrizione della Palestina come una terra desolata da parte di Grün/Gurion non è solo inesatta, ma anche una deformazione flagrante della storia, così come testimoniata dal soggetto incaricato – nei fatti – dell’inventario, per così dire…
Ma non basta, dobbiamo concedere a Weitz di non aver mascherato di ipocrisia i suoi intenti quando si interroga sulla regia dell’operazione  - in fieri – di spossessamento delle terre: “...Saremmo in grado di mantenere insediamenti sparsi tra questi villaggi esistenti che saranno sempre più grandi dei nostri?….E c'è una possibilità di comprare loro?... E ancora una volta sento questa voce interiore che mi chiama: evacuate questo paese...»
Inoltre, quando l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato il piano di divisione della Palestina nel 1947, Weitz ha notato che la maggior parte delle terre coltivabili dello «Stato ebraico» proposto apparteneva a palestinesi.
I documenti di Weitz rivelano un paesaggio ricco di terre coltivate e sottolineano il grande divario tra la realtà della proprietà palestinese e le affermazioni fatte sullo status della terra.
Ma torniamo alla spregiudicatezza  di Weitz nei confronti della popolazione palestinese, i suoi appunti  sono altrettanto rivelatori. In una riunione con il Comitato dei trasferimenti, il 15 novembre 1937, avrebbe dichiarato:
“...il trasferimento della popolazione araba dalla zona dello Stato ebraico non ha un solo scopo: diminuire la popolazione araba...Serve anche un secondo obiettivo, non meno importante, che è difendere le terre attualmente detenute e coltivate dagli arabi e liberarle così per gli abitanti ebrei»
Questa dichiarazione sottolinea che il «trasferimento» dei palestinesi non era solo una strategia demografica, ma anche uno sforzo calcolato per privarli delle loro terre, facilitando così la loro appropriazione da parte dei coloni ebrei. La combinazione delle osservazioni e delle intenzioni di Weitz dà un quadro più chiaro dell'approccio sistemico degli spostamenti dei palestinesi e della  appropriazione delle loro terre, ben altro queste dall’ennesimo “scatolone di sabbia”...
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