giovedì 25 luglio 2013

COSA SUCCEDE SULL'ALTRA SPONDA?


Caro Emilio, questa poesia è veramente uno schiaffo (benefico)in faccia e costituisce, almeno per me che sono abbastanza digiuno del pensiero di quei popoli, un invito ad approfondire l'argomento.
Ma vorrei riferirmi al libro che hai scritto "LIBIA, il naufragio dell'Europa", interessante, polemico (direi incazzato), ricco di spunti storico/culturali,(forse troppi) ed informazioni , in cui appare chiara la tua posizione assolutamente controcorrente, e che io condivido soltanto in parte, su Gheddafi e l'intervento delle forze internazionali in Libia.
Però non voglio discutere su questo, ne sulle varie "primavere arabe" che si sono susseguite in questi ultimi anni, con cause ancora da approfondire ed effetti ancora in progress.
Ti chiedo invece di esprimere la tua opinione, precisa e circoscritta, sulla attuale situazione in Siria ed in Egitto, e se trovi collegamenti/analogie con gli eventi libici e la politica internazionale che hai descritto nel libro
. “

Questo è il commento al post precedente, nella consapevolezza dello scarso richiamo che i commenti hanno – in tutta evidenza – per i frequentatori del blog lo ripropongo come spunto di riflessione, ed anche perché il quesito postomi, sulla situazione Egiziana, mi stimola e stupisce: un italiano che, al contrario di interessarsi del gossip quotidiano su Berlusconi ed i suoi processi, delle incredibili e buffonesche capriole delle varie Bonino, Alfano, dei moniti dell'innominabile monarca dell'italico stivale, un italiano che si interessa del momento di crisi devastante che viviamo guardandosi attorno con sguardo disincantato e si volge al di là del Mediterraneo è una cosa rara. Cosa rara allorché ogni giorno che Iddio mette in terra veniamo subissati dalle “indiscrezioni” sul malfunzionamento dei “servizi” che reimpatriano di forza una signora peraltro attrezzata dei passaporti diplomatici più fantasiosi, con incursioni paramilitari che la dicon lunga sul concetto diritti umani e democrazia, dal Kazakistan all'Italia. Un sistema da cui non siamo né protetti né rappresentati, ma comunque già immemori delle carneficine della Diaz consumate sulla pelle non dei parenti di qualche (discutibile o meno non è il tema) oligarca ma sulla pelle di studenti che potevano e potranno essere i nostri figli, in virtù di quella miracolosa formula “democrazia rappresentativa” - su base di delega al buio - che i demiurghi Padri Fondatori hanno stabilito essere l'Unica forma di governo possibile sul globo terracqueo. E forse è così, se affidata a mani degne e non a indegni "servitori" di quello che è tornato - o rimasto - uno stato che del sistema borbonico ha mutuato solo i vezzi peggiori.

Ebbene Sergio, i fatti attuali dell'Egitto dell'estate 2013 rispecchiano appieno – direi quasi linearmente – il contenuto di quegli appunti che buttati giù di getto in quei giorni di Ramadan dell'estate del 2011 si condensarono poi in quel mio e.book che Tu citi e dici di aver apprezzato almeno in parte. Se ricordi gli “ spunti storico/culturali,(forse troppi) ed informazioni” che vi sono contenuti il mio libro ripercorre in scenari “elementari” gli albori della disciplina wahabita e della dinastia dei Saud, proprio in linea parentale, Wahab nonno di Saud, ed il legame sostanziale e strategico che – nella fase di ribaltamento degli equilibri del Medio Oriente di fine '800 a danno della Sublime Porta ottomana – già allora era nascente tra queste realtà ed il colonialismo franco-britannico.

Siamo nel 1924, nell'Hegiaz, re Hussein intrattiene rapporti diplomatici piuttosto avanzati con la Russia di Lenin.
I sovietici inviarono come proprio rappresentante un personaggio singolare, di nobili origini, pio musulmano e dai sentimenti comunisti. Da musulmano questi poteva frequentare i luoghi santi e fare al contempo proselitismo politico. Come conseguenza di questa potente alleanza re Hussein – che non brillava per probità - si proclamò Califfo e pretese dall'Inghilterra modifiche sul mandato palestinese.
Da qua la storia prese una brutta piega. Entrarono in campo i Wahabiti, le tribù selvagge ed ingovernabili del Neged che si rovesciarono sull'Hegiaz, travolgendo le forze del califfo e dirigendosi sulla Mecca.
A questo punto una notizia sconvolse l'oriente religioso: l'agenzia Reuter diffuse voci sulla distruzione della sacra pietra della Kaaba. Una notizia assolutamente infondata.
Il tempo di Hussein era finito, isolato tra i suoi, rifugiatosi ad Akaba vide entrare in porto, il 27 maggio del 1925, una nave da guerra inglese. Il califfo era stato delegittimato. La lettera che gli venne recapitata dal comandante gli imponeva l'esilio. In più sarà l'affermazione definitiva della schiatta di Mohamed Abdul Wahab, nella persona di Abdul Aziz ibn Saud, della casa Saudita...
E' il gioco del domino. La Reuter si era sbagliata.” (Da “Libia il naufragio dell'Europa”)
Gli Ikhwan – i Fratelli – i riottosi beduini cui Mohamed Abdul Wahab aveva dato la dignità di monaci guerrieri ed il compito di ricercar la purezza dei Salaf – i progenitori – contaminata dai mercanti dei luoghi sacri dell'Islam ( ricorda altri mercanti nel Tempio, non trovate?) gli Ikhwan dicevo, altro non erano che i capostipiti di quella realtà che avrebbe interagito per decenni, con vari leader, con i potentati europei, nello specifico Britannici e Francesi. Alla faccio del romanticismo della trasposizione delle vicende di Lawrence d'Arabia, manipolatore delle pulsioni nazionaliste.
Molti commentatori si sono entusiasmati, commossi ed affannati nel riconoscere le stigmate del genuino moto di popolo nelle Primavere Arabe del 2011 e nel discernere in esse (Fulvio Grimaldi) l'emergere di una genuina coscienza laica di popolazioni stremate da disparità sociali e da scenari confessionali, rivoluzioni laiche nel poetico e – veramente eurocentrico – sentito che queste regioni “debbano” anelare alla democrazia (non Fulvio Grimaldi, fortunatamente), unico virtuoso esportabile ed inossidabile modello, sistema che si persegue attraverso – primo step della civiltà – l'abdicazione ai vari credo ed alle tradizioni, per definizione obsoleti atavismi.
Il vezzo, difetto e colpa grave di questa lettura è per l'appunto che essa nasce da una prospettiva radicatamente eurocentrica ed irrispettosa di quella componente di spiritualità di cui le pur vituperate monoteiste hanno in qualche modo mutuato il retaggio, in quel concetto che nobilmente si definisce sincretismo e che polemicamente si può definire omologazione e sovrapposizione ma che pur sempre – anche se talora parassitariamente – mantiene un legame con la parte più vera, antica ed intima dell'uomo, quella senza orpelli confessionali e di clero.
Non sono il solo a pensare che a certe latitudini ( intendendo con ciò un semplice riferimento geografico di “distanza” dalle nostre ) la democrazia o il socialismo pensati secondo i nostri schemi abbian poco significato, l'ho scritto chiaramente ed ho piacere che Massimo Fini – sicuramente non l'ultimo polemista o tuttologo apparso sulla scena – cui mesi addietro ho spedito in lettura un esemplare del libro in uno degli articoli recenti esprima un concetto del tutto analogo al mio a proposito della figura dell'uomo forte richiesta da alcune culture. A questo proposito, in merito a carisma, spiritualità, tradizione e laicità ho apprezzato una riflessione di Giovanni Gozzini - che dopo quella di Libia il naufragio sta curando la prefazione di una mia nuova raccolta di racconti – proprio sull'errore di fondo derivante dal continuare a non voler dare spazio nelle nostre sapute valutazioni a quella realtà quotidiana che lega – certo non per tutti ma sicuramente per molti - la tradizione e la religione, nel mondo arabo e nordafricano.
L'avere una Bonino – aggiungo – come Ministro degli Esteri (dopo un genio come il poco rimpianto marchese di Santagata) dà una misura di quanto sopra (la laica ministra ebbe il buon senso di mandare i suoi cineoperatori maschi nella sezione femminile dell'ospedale di Kabul...grande conoscitrice delle tradizioni locali, sul fatto quotidiano – che delusione – vien descritta come una che ha mostrato i denti ai talebani difendendo i diritti delle afghane).
Ponevo un quesito in merito alla pazienza degli emirati del Golfo di fronte al protagonismo rampante di Hamad Ben Khalifa Al Thani, vero e proprio sponsor (dal calcio al terrorismo “salafita” di stampo fose più statunitense che franco/britannico), beh il suo tempo è passato, lui costretto ad abdicare, i suoi protetti – vuoi maliani, vuoi oppositori alla Siria di Assad, passati come lui di moda.
L'Egitto, consegnato ai Fratelli musulmani dopo esser stato usato come detonatore – insieme alla Tunisia (dov'è Ben Ali? Vi risulta l'abbiano processato?)- delle fasulle primavere messe in atto per colpire la Jamahiriya, unico modello alternativo ed unico soggetto non allineato (non per nulla i signori del BRIC , Brasile, Russia, India e Cina non esercitarono il veto sulla mozione della no fly zone, preferendo un partner politically controllable come il Sudafrica), viene rimesso in riga, privo del socio sostenitore principale, levantino ma compromesso dagli agi di Doha e della Costa Smeralda, nemmen parete dell'asceta dell'Hegiaz...
L'uomo forte, come Assad, il riferimento ad un consenso clanico, non per questo meno nobile del consenso politico dalle nostre parti che - il consenso politico - di fatto si ispira proprio al concetto di rapporti di forza interni ad un clan... apriamo gli occhi, chiamiamo le cose col loro nome!

No Grimaldi, non sopravvaluto la “macchina” americana, non amo creare o propalare miti e leggende, vedo che anche usare unicamente i tuoi parametri (socialismo, marxismo in lessico europeo, vedasi anche l'epilogo dell'esperienza nasseriana) è inadeguato. E so bene che ciò che dici è cent'ori rispetto alle scemenze dei tanti commentatori da salotto che non hanno vissuto nemmeno la centesima parte dei fatti in cui ti sei immerso (alla lettera). Come dici tu “io c'ero”. Come mi hai chiesto tu “ma che ci sei andato a fare?” ti rispondo né per business né per avventura: per capire. Perchè abbia un senso non semplicemente bruto la nostra esistenza.
In Libia la gente fa scorrere la vita, consapevole del fatto che indietro non si torna, la gente gira armata, prima di scender dall'auto per andare in banca tira fuori la pistola e spara – più o meno in aria – un paio di colpi tanto per far capire che non vuol rogne...


Come ho scritto altre volte questi sono fatti della storia contemporanea, della nostra storia, altro che La Storia siamo noi dei sapienti di turno alla Minoli, alla Biloslavo, Fazio, Capuozzo, abbiamo – chi ne ha la possibilità per sensibilità, contatti, conoscenza – la responsabilità di guardare coi nostri occhi e con la nostra testa riflettere.
Di alcuni di loro non val la pena di dissertare, fanno parte dell'establishment in modo viscerale, come verruche sui calcagni. Purtroppo talvolta si ha l'impressione che i Grimaldi, i Fini, chi per permalosità, chi per un quasi aristocratico isolamento, chi magari perché in fin dei conti il giornalismo è un lavoro (e si deve pur campare) di fatto chiudano la porta del proprio orticello a quanti abbiano qualcosa di concreto da dire, da portare ed offrire ad un dibattito. Questa è una cosa che non capirò mai. O - se la comprendo - questo è il provincialismo che non ammetto.


“Abbiamo portato la civiltà”. In Egitto avevano votato (come in Algeria ai tempi del FIS) più o meno il 25 % degli elettori, poteva governare quel paese una minoranza effettiva? Pensano adesso di far governare un laico? Ah perchè i militari sono laici? Si, quelli di Fort Bragg, o gli esperti di Langley...
La Siria, un altro tassello della destabilizzazione degli “stati canaglia”, i non-allineati ai meccanismi ed agli automatismi del modello capitalista che oggi sempre più si qualifica come capitalismo terminale (rileggeteVi le considerazioni di Bastide sul Post di qualche tempo addietro che ho titolato “Un punto di vista differente”) , nelle mani di presunte dinastie di presunti imprenditori, che – ad ogni livello dimensionale – dimostrano la propria inesistenza sociale e il proprio “peso” (zavorra) sotto il profilo finanziario e di lobby.
Una volta ho scritto che forse per il mondo più che professori eran sufficienti i poeti, ne sono ancor più convinto.
Rileggetevi le parole taglienti di Hawad, il nomade.

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